Nella fondamentale tappa delle Primarie Democratiche in Ohio, tutto sembra volgere a favore di un trionfo del senatore Morris, inspiring candidate dal CV immacolato, capace di suscitare entusiasmi nell’elettorato e tra i cinici addetti ai lavori grazie al phisique da attore e alla dialettica affabile e diretta. Lo staff artefice del suo successo ha la sua punta di diamante nel rampante addetto stampa Stephen Myers, che si muove con baldanzosa nonchalance tra navigati consulenti politici, senatori in cerca di nomine, scafate giornaliste del Times e stagiste troppo sveglie, troppo giovani, troppo carine. Nel giro di poche intensissime giornate l’intreccio vorticoso di questi elementi scompiglierà i piani di quella che sembrava una cavalcata trionfale, svelando scheletri in vari armadi e scatenando la scia di tradimenti e pugnalate alle spalle che il titolo del film lascia presagire. Dopo i premi raccolti nel 2005 con Goodbye and Good Luck, Clooney torna in concorso al Lido accompagnato dalla penna del fido Grant Heslov (e da un cast di rara qualità) con un film immerso con decisione nella materia politica e mediatica statunitense. Partendo da presupposti comunque piuttosto ideologici e auto-assolutori (“è ora che cominciamo a usare i trucchetti sporchi dei Repubblicani”) la roccaforte democratica di Hollywood fa dunque i conti con i quesiti sollevati dal disincanto di fine legislazione Obama: crediamo davvero leader politico ideale? Quanto del successo dalle sue qualità di amministratore? Quali sono i compromessi e le leggerezze perdonabili e a chi davvero li dobbiamo perdonare? Lo scintillio di una galleria di personaggi anche fin troppo charmant, duellanti a colpi di eloquenza sogghignante e abili mosse scacchistiche, viene soffocato nel fango del finale dal precipitare delle circostanze e dai crudeli meccanismi intrinsechi della pugna elettorale. L’individuo e gli ideali non reggono la forza d’impatto della macchina politica, la quale non ammette risposte alternative alla dicotomia “ritirarsi dalla lotta/passare al lato oscuro” (ed in effetti echi quasi Vaderiani si affacciano nella sequenza conclusiva). La risposte ai quesiti sopra elencati sembrano rivelare un cotè fatalista che addossa sulle spalle del sistema la corruzione dei soggetti politici, perfino migliori (anch’essi umanamente fallibili), suonando così come un’assoluzione per questi ultimi, per quanto non priva di complessità. Ma se si consegna al giudizio di ognuno il messaggio veicolato rispetto all’attualità, quel che rimane del film rivela pregi indiscutibili: una sceneggiatura ad orologeria in cui ogni informazione viene impugnata come un’arma e ogni parola pronunciata veicola per lo spettatore un messaggio doppio, triplo o esattamente opposto al suo significato letterale; una serie di prove d’attore (da Gosling a Hoffman, da Giamatti alla Wood) impeccabili e lontane dalla gigioneria gratuita; la conferma di un Clooney regista che mostra sempre di più la mano sicura (e i perdonabili eccessi retorici) della migliore Hollywood “scolastica”, quella dei film solidi, godibili e impeccabilmente confezionati, anche se privi di picchi stilistici e fughe in avanti.