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venezia 68 – Concorso – 4:44 Last Day on Earth di Abel Ferrara – (Usa, 2011)

Se pensiamo alla complessità, anche cognitiva, del dispositivo mediatico in  Mary, dove Ferrara fa collidere le finestre sull’informazione di massa come forme di trasmissione della violenza e della conoscenza, ricombinando un cinema del pensiero oltre il cinema stesso, destinato a spegnersi in una cabina di proiezione e a resuscitare come semplice forma di luce, 4:44 Last Day on Earth più che un passo verso quella dimensione radicale, sembra una concentrazione di questi spunti in un set chiuso. Non è la claustrofobia in gioco, elemento che in quasi tutto il cinema di Ferrara funziona davvero come una camera oscura dove il suo cinema migliore, senza centralità del soggetto, cambia continuamente il modo di percepire la realtà, ma una disposizione di questa liminalità in uno spazio dove tutto è intellegibile e dove la mente sembra in un certo senso aver trovato una forma pacificata nel “setting” di tutti gli elementi in campo. Una coppia aspetta la fine all’interno del proprio attico; Cisco (Willem Defoe) comunica con le figlie via skype e Skye, pittrice (Shanyn Leigh), si perde in continue sessioni di dripping, forma intima e rilassata del proprio esprimersi più che immagine di un caos esterno che non penetra ne modifica quest’isola. E’ uno spazio relazionale “morbido” che sembra interessare a Ferrara, basta pensare alla sequenza in cui Cisco discute con l’ex moglie via skype e si lascia sfuggire una dichiarazione d’affetto inespressa, Skye la intercetta e gridando si scaglia contro Cisco mentre questo tiene in equlibrio precario il suo Mac per una mano dove nella lotta familiare vediamo ancora attivo il collegamento con l’ex moglie; sarebbe sbagliato, oltre che ridicolo, riflettere sulla pervasività dei mezzi di comunicazione inter-relata in un contesto in cui la tecnologia di 4:44 last Day on Earth è assolutamente quella volatile e abitudinale dell’esperienza quotidiana; non c’è la forma virale di New Rose Hotel ne la controversa e sofferta soggettività spirituale di Mary, come dicevamo, non c’è in fondo nessuna frattura; la pacata rassegnazione della coppia, passa al setaccio la tossicodipendenza di Cisco, il rapporto con il fratello, brandelli di vita affettiva, interventi di Al Gore e del Dalai Lama attraverso una televisione sempre accesa, schermi ovunque certamente, ma come in qualsiasi spazio quotidiano. L’attesa, ha detto in vari modi Ferrara durante la conferenza stampa a Venezia 68, è una questione legata alla redenzione; qui non ha certo a che fare con il percorso doloroso dei personaggi Ferrariani che conosciamo, almeno di non percepire il dolore in una dimensione (anche spaziale) ormai riassorbita. L’ultima immagine è bianca, ma rispetto alla pellicola in coda proiettata sul volto di Tony Childress, la resurrezione ha una forma completamente digitale.

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
venezia-68-concorso-444-last-day-on-earth-di-abel-ferrara-usa-2011In 4:44 Last Day on Earth non è la claustrofobia in gioco, elemento che in quasi tutto il cinema di Ferrara funziona davvero come una camera oscura dove senza centralità del soggetto, cambia continuamente il modo di percepire la realtà, ma una disposizione di questa liminalità in uno spazio dove tutto è intellegibile e dove la mente sembra in un certo senso aver trovato una forma pacificata nel "setting" di tutti gli elementi in campo
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