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Venezia 68 – Fuori Concorso – Wilde Salomè di Al Pacino (Usa, 2011)

«This is a story about obsession» – sono le parole con cui si apre Wilde Salome di Al Pacino –  presentato ieri fuori concorso – mai più indicate per definire lo spirito del progetto: l’ossessione per il corpo a corpo che viene a crearsi tra un attore ed un testo teatrale. Attraverso questo confronto, Pacino cerca di penetrare il mistero della recitazione. E’ un documento, Wilde Salome,  che mette a nudo le dinamiche interne ed esterne che si creano durante la lavorazione ad un adattamento teatrale; dalle pressioni dei produttori che parlano la lingua del denaro, al ritrovamento delle soluzioni interpretative più congeniali al soggetto. Risale a quindici anni fa il primo esperimento condotto da Pacino in questi stessi ambiti, quando la star di Hollywood esordì dietro la macchina da presa con Looking for Richard (Riccardo III, un uomo, un re), un’indagine a tutto campo intorno all’opera e al personaggio, partoriti dal Bardo. Come Looking for Richard, anche Wilde Salome è un diario di lavorazione in cui vengono intrecciate ricostruzioni classiche, riflessioni filologiche, comparazioni fra il biografico di Wilde e gli snodi principali del dramma, interventi di drammaturghi e studiosi (Gore Vidal, Tom Stoppard, Tony Kushner, Merlin Holland) e scene di vita dentro e fuori il teatro. Al Pacino veste i panni del tetrarca Erode – «una della parti più impegnative che abbia mai interpretato a teatro», a suo dire -, mentre il ruolo di Salomé è affidato alla bellissima Jessica Chastain, qui davvero al massimo delle sue doti recitative. «Per Wilde era molto importante il personaggio di  Salomè, perché è una ragazza in fase di transizione verso una sessualità ed una spiritualità nuove, proprio come stava accadendo all’autore nel periodo in cui scrisse il dramma». E’ questo il concetto su cui fa leva Pacino per caratterizzare l’ambiguità della protagonista che per vendetta e per «capriccio» chiederà la testa del profeta Iokanaan che le ha negato un bacio sulle labbra. Ma Wilde Salome non si ferma qui, è soprattutto un limpido ritratto dell’artista Pacino. «Non un film su un dramma, ma un film su un’ispirazione» come lui stesso dice. Una straordinaria testimonianza sulle sue ossessioni per le intenzioni che giacciono sotto ogni scelta e azione dei personaggi, sul significato di ogni singolo gesto recitativo, sui movimenti psicologici di cui fa esperienza un attore quando si trova immerso dentro il testo da rappresentare. Quello di cui  dà prova Pacino, con Wilde Salome,  non si può che definire perfetto, grazie anche alla grande sensibilità e verità con cui vengono trattati tutti gli aspetti della materia presa in esame. Assolutamente indimenticabile il «duetto» tra Pacino/Erode e Chastain/Salomè, quando il tetrarca scongiura la ragazza di non chiedergli la testa di Iokanaan come pegno per la danza dei sette veli. La canzone dei titoli di coda è di Bono Vox.

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