Ross MacElwee è un documentarista americano abituato al travelogue intimista di matrice autobiografica, un po’ come se il viaggo tra tempo, memoria e storia che fa del cinema di Chris Marker un’esperienza fenomenologica complessa fosse ridotto ad una prospettiva squisitamente familistica. Photographic Memory è una vera e propria “family viewing” attraverso la progressiva e difficile conquista di una posizione di simultaneità generazionale.
Non è un caso che tutto il film si regga in fondo su una frase di Merleau-Ponty che nella ricerca tra visibile e invisibile individua esseri differenti estranei gli uni agli altri, come assolutamente insieme, mistero pericoloso come bimbi che maneggiano esplosivi.
Per Mcelwee questo risiede nell’attitudine a filmare qualsiasi cosa appartenga alla sua famiglia e soprattutto nella relazione con il giovane figlio Adrien, perso in un sovraccarico tecnologico e ossessionato come il padre dalla documentazione audiovisiva.
Mentre Ross vive il passaggio alle nuove tecnologie come un trauma minacciato dalla costante paura di perdere pezzi di memoria digitalizzata, Adrien vive già in questa volatilità dell’immagine, gode della miniaturizzazione, cerca un punto di vista estremo su se stesso filmando le sue pericolose acrobazie di snowboarding.
Un diverso modo di intendere la flagranza e soprattutto la giusta distanza tra soggetto e oggetto che spinge Ross ad un viaggio di ricerca sino a Saint Quay-Portrieux, in Bretagna dove in una delle sue giovani primavere fotografava matrimoni insieme ad un’amico Francese.
Ross ripercorre i luoghi della memoria in quella ricerca di un’allure che nella relazione tra tempo e fotografia produce quasi sempre fantasmi irriconoscibili, immagini sulle quali il concetto di appartenenza si trasforma in un processo di rivelazione dell’invisibile; è come se tutta la retorica dell’ontologia Baziniana, racchiusa in un tenero resistere della propria identità obbligasse Ross a ripercorrere un viaggio a ritroso nel passato, per trovare inscritta in quelle immagini e nei nuovi volti che McElwee riprenderà con la sua videocamera, le radici del figlio come falda compresente alla propria.
Il viaggio di McElwee perde a poco a poco una consistenza cronologica e sostituisce i pericoli della nostalgia con un’immagine più complessa, che non cerca per forza la conciliazione ma che si arricchisce, con il desiderio di un confronto, di forza stratigrafica.