Glawogger torna al Lido con il terzo, conclusivo e piú controverso capitolo della sua indagine comparata sulle miserie urbane contemporanee: dopo gli agglomerati labirintici di Megacities e le spaventose condizioni lavorative di Workingman’s Death, si addentra con questo Whores’ Glory tra le maglie scabrose dei costumi della prostituzione in tre zone a luci rosse attorno al pianeta. Il regista austriaco accogliente: font rosa shocking, sequenze di raccordo ammicanti e videoclippare, colonna sonora invasiva, modaiola e d’impronta femminile (Cocorosie e Pj Harvey tra i nomi più presenti) a veicolare peró una sostanza ben più stratificata e coraggiosa di quanto la confezione e l’appeal pruriginoso facciano pensare. Negli ultraprofessionali “acquari” tailandesi, nei labirintici bordelli del
Bangladesh, nei complessi di motel nei sobborghi messicani si intrecciano su svariati livelli costumi sessuali, convenzioni sociali,
concezioni del mercato e credenze religiose, ai quali si adegua la invasività descrittiva del racconto. Ci si ferma sulla soglia degli ascensori nel supermercato del sesso a Bangkok, con la vetrina-scaffale da cui le ragazze numerate e confezionate dai
truccatori vengono scelte con l’aiuto di eleganti banditori, riflesso di una pratica radicatissima, efficientemente organizzata e
apertamente affiancata ai rapporti di coppia. Ci si addentra nelle misere alcove e nei vicoli affollati del quartiere a luci rosse di Dhaka, dove si diventa prostitute da bambine, vendute alle maitresse, ci si contende i clienti con le unghie si recitano le sure per costringerli a rinunciare al sesso orale. I clienti parlano delle ragazze come qualcuno di famiglia, le chiamano per nome mentre parallela cresce la confidenza di sguardi e confessioni che si dirigono direttamente in camera, rivelando la mestizia indicibile di un destino segnato. Nella Zona di Tolerancia di Reynosa si completa la discesa agli inferi: i commenti dei clienti si fanno aggressivi, spavaldi, le pratiche sessuali si moltiplicano in varietà, perversione e prezzo, le ragazze, tra i vapori del crack, si abbandonano con orgoglio e malcelato rammarico nella gara a chi fra di loro é la più puttana, la più attiva, la più furba ad ingannare i clienti. L’atmosfera sulfurea si concretizza nel culto della Santisima Muerte, divinità protrettrice a cui si chiede una morte serena e il salvifico oblio dello squallore di ció che la precederà. E’ coerentemente in questa conclusione del climax che Glawogger lascia cadere ogni pudicizia e confeziona la scena più controversa, pericolante sul crinale tra il sensazionalismo e la necessità documentaria: il sesso tra prostituta e cliente in presenza della macchina da presa, lontano da compromessi di messa in quadro e gestita per analizzare le fredde dinamiche commerciali e di dialogo che si instaurano nel rapporto a pagamento. Anche le confessioni di fronte alla macchina da presa sono prestazioni pagate, nella logica mercantile del tempo e della concessione radicata in questo ambiente. Si tratta di un documentario che parla di sfruttamento, mercimonio del corpo, che sonda i confini della pudicizia nei luoghi meno pudici della nostra società, e che per questo fa consapevole e a tratti furbesco uso di tale mercimonio, contestualizzando comunque in un solido impianto di indagine. Si astenga chi ha lo scandalo facile e i fautori dello sguardo etico e mai compiacente.