“Totem”, lungometraggio di esordio della cineasta tedesca Jessica Krummacher, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia per La settimana della Critica, farebbe immediatamente pensare a Freud (peraltro uno dei protagonisti, in versione cronemberghiana si intende, di questa edizione del Festival) e al suo “Totem e tabù”, fantasaggio che scavava negli abissi della civiltà, alla ricerca dell’origine più nascosta di pratiche e desideri sopiti. Eppure, sebbene la pellicola faccia dell’introspezione psicologica la propria ragion d’essere, sono altre, e ancor più sinistre, le fonti di ispirazione che hanno condotto la giovanissima regista a tradurre in immagini un proprio soggetto e a presentare il film come tesi per conseguire il diploma alla Scuola di Cinema di Monaco di Baviera. “Totem”, parola misteriosa che raccoglie in sé una pluralità di significati (animale, ma anche spirito affine, fratello), cela al proprio interno il monosillabo “Tot”, una degli svariati termini con cui in tedesco si indica la morte. Film sulla morte e sull’impossibilità di continuare a vivere, claustrofobico e occlusivo nella messinscena e nelle scelte scenografiche, “Totem” è vagamente ispirato al caso di cronaca di una giovane domestica tedesca che, dopo aver trascorso un periodo di tempo presso una famiglia tedesca, scelse di suicidarsi. Suggestioni mortifere percorrono dunque la pellicola, fra animali impagliati, sogni notturni, giocattoli inquietanti e figure allegoriche (l’inquietante comparsa di uno scorpione, l’unico animale che, quando avverte di essere circondato dal fuoco, si dà la morte). Scene da un matrimonio in via di estinzione o in perenne logoramento si ripetono nella casa dove la ventitreenne Fiona è stata da poco assunta come collaboratrice, con il compito principale di occuparsi dei “figli” della squinternata coppia: una ragazza di quindici anni, un bambino di sei o sette e delle bambole gemelle di pura plastica che Claudia, la madre, desiderosa di una terza gravidanza, considera al pari dei primi due pargoli, portandole a passeggio e abbigliandole di tutto punto. In una casa-scatola circondata da siepi, sorta di prigione con giardino in cui uomini e animali, veri o fasulli, convivono in un clima di tensione latente, la presenza di Fiona, ragazza-bambina dallo sguardo innocente, fa esplodere sentimenti e frustrazioni nascoste, in un climax di atti insensati e privi di raccordo logico. Mentre tutti sembrano brancolare nel buio alla ricerca spasmodica di affetto, inghiottita da una sofferenza silenziosa che non può trovare sfogo e, al tempo stesso, incapace di lasciare la casa, Fiona finirà per diventare ingranaggio del gioco al massacro che si consuma all’interno della casa, fino a scegliere la morte come unico possibile esilio.