At Any price è Il primo film di Ramin Bahrani realizzato in un contesto diverso dalla prassi produttiva indipendente eppure si ha la sensazione che il rigore del cineasta di origini Iraniane nel cogliere l’ambiguità del reale sia rimasto invariato in quella sottile capacità di utilizzare il fuori campo come un sistema causale che preme sulle immagini; è un “Argent” Americano il nuovo lavoro di Bahrani, dove il denaro non si vede ma regola le radici relazionali di uno stato rurale. Grant, il figlio maggiore della famiglia Whipple se n’è andato un po’ di tempo fa, invia cartoline dall’argentina e rifiuta il patrimonio famigliare legato ad alcune piantagioni di Mais dello Iowa di proprietà di Henry Whipple, il padre; attraverso la sua assenza vengono rivelati a poco a poco tutti i segni di una crisi che ha il suo momento apicale nella relazione tra Henry e Dean, il figlio minore attratto dai motori e dall’autodromo e totalmente disinteressato all’agronomia. Bahrani lavora su una sottile relazione tra mondo meccanico, famiglia e realtà economica; mentre Henry per sopravvivere ai nuovi colossi agrari che producono sementi OMG deve utilizzare delle macchine destinate alla pulitura illegale di semi “brevettati” modificando una pratica lavorativa che in passato lo avvicinava fisicamente alla terra con strumenti più artigianali, Dean spacca la vetrina di un negozio e ruba un motore nuovo per truccare la sua macchina da corsa. Sono azioni che innescano una catena invisibile di eventi per giungere ad un punto di convergenza in quella che è la dissolozione traumatica di un sogno nel suo rovescio oscuro. Tutti i personaggi di contorno sono dolenti immagini di un’America implosa, ad eccezione della giovane fidanzata di Dean, l’unica senza una vera famiglia putativa e che riuscirà a staccarsi dalla rete di relazioni; anche in questo caso Bahrani dissemina tracce e lascia lo sviluppo fuori campo non lasciandosi mai andare alla tentazione del film corale, basta pensare alla sequenza che Bahrani stesso ha dichiarato esser stata costruita pensando al Nashville di Robert Altman, dove il pubblico riunito per la prima gara di Dean canta l’inno nazionale; un tentativo di mettere tutti i personaggi nello stesso spazio e di farli reagire con quello che sappiamo della loro storia personale fatta di sotterfugi, tradimenti, debolezze prestate a un sogno comune. La sintesi di questa ambiguità è nella reinvenzione che Bharani fa della gigioneria di Denis Quaid, maschera stolida e terribile, spietata e dolente e che a un certo punto riassorbe tutte le contraddizioni di un sistema economico famigliare fondato sulla menzogna. Come in un piccolo Mystic River dal respiro cameristico, Bahrani ipotizza la sopravvivenza economica di un’intera Nazione sul crimine necessario con l’immagine conclusiva di una festa danzante che attraverso l’ambiguità tipica del suo cinema, ci mostra qualcosa che non ha un significato univoco.