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Venezia 69 – Concorso – Linhas de Wellington di Valeria Sarmiento (Portogallo, 2012)

Il film che avrebbe dovuto esser completato da Raul Ruiz, grazie all'interesse di Paulo Branco viene affidato a Valeria Sarmiento, compagna di vita e di lavoro del grande regista Cileno morto un anno fa. Linhas De Wellington è quindi un lavoro complesso, che stratifica due modi diversi di lavorare con il Cinema e una percezione della storia Portoghese osservata da due cittadini ec-centrici; in concorso a Venezia 69, la recensione...

Il film che avrebbe dovuto esser completato da Raul Ruiz,  grazie all’interesse di Paulo Branco viene affidato a Valeria Sarmiento, compagna di vita e di lavoro del grande regista Cileno morto un anno fa. Linhas De Wellington è quindi un lavoro complesso, che stratifica due modi diversi di lavorare con il Cinema e una percezione della storia Portoghese osservata da due cittadini ec-centrici, il cui amore per quella terra assume spesso delle assonanze “inverosimili”,  affettive e politiche e probabilmente anche per questo più autentiche di una ricostruzione filologica.

Ambientato agli inizi dell’ottocento, segue la ritirata strategica delle truppe Portoghesi sostenute dagli inglesi; l’obiettivo è raggiungere alcune fortificazioni presso Torre Vedras allestite dal duca di Wellington come forma di difesa per la città di Lisbona, e spingere in quei luoghi le truppe napoleoniche per indebolirle e cacciarle definitivamente dal Portogallo.

Viene in mente subito Raul Ruiz durante i primi dieci minuti, con quel controcampo che rende subito instabile la soggettiva nel mutuo osservarsi tra Francesi e Portoghesi, da quì il film si apre allo script di Carlos Saboga, già con Ruiz per il bellissimo I Misteri di Lisbona, traccia narrativa fatta di molteplici storie, sconfinamenti della memoria privata in quella collettiva, riconoscimento e oblio, e soprattutto un continuo peregrinare che non arriva mai ad un approdo e che nelle mani di Ruiz avrebbe potuto essere occasione di un trattamento ellittico e sospeso del tempo.

La Sarmiento segue comunque queste intuizioni e costruisce un racconto da un certo punto di vista lineare e di quadratura televisiva per quanto riguarda lo sviluppo di alcuni micro-episodi interni alla vicenda, mentre apre l’ordito ad una serie di derive del racconto filmando il cammino dei Portoghesi come quello di un gruppo di anime sradicate dalla propria terra, vero e proprio territorio fantasma attraversato da forze oscure. Persino la serie di intrecci apparentemente più leggeri alludono a storie di amori individuali che riemergono dal passato, o che si inabissano nel vuoto; un rovesciamento dell’affresco Storico che procedendo  per piccoli movimenti marginali, avrebbe potuto premere verso una centralità collettiva.

Al contrario la  Sarmiento mina la stabilità coesiva del formato colossale con una serie di derive che tendono a complicare il punto di vista, renderlo instabile, introdurre elementi sempre più ambigui sulle radici dell’orrore, mettendo in parallelo le violenze e gli abusi dell’esercito Inglese con i “sacchi” dei Francesi, come se il Portogallo fosse la carcassa violata da un doppio stupro. La stessa figura del Prete portoghese nomade e della sua armata di sbandati è un’immagine non riconciliata del Portogallo, tra cultura cattolica e un destino in transito alla ricerca delle proprie radici. In quello che sembra un ritorno definitivo verso casa, uno dei protagonisti sopravvissuti all’occupazione, osserva da una collina una casa sventrata, come un fantasma che guarda il suo passato da un non luogo.

RASSEGNA PANORAMICA
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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