martedì, Novembre 5, 2024

Venezia 69 – Concorso – Superstar di Xavier Giannoli (Francia, 2012)

Xavier Giannoli racconta di essersi ispirato per il titolo del suo nuovo film in concorso a Venezia 69 ad una nota hit dei Carpenters, pietra tombale su una nuova generazione di Superstar catodiche che enunciava in modo già chiaro e terribile la distanza del mezzo televisivo; Superstar la recensione...

Xavier Giannoli racconta di essersi ispirato per il titolo del suo nuovo film in concorso a Venezia 69 ad una nota hit dei Carpenters, pietra tombale su una nuova generazione di Superstar catodiche che enunciava in modo già chiaro e terribile la distanza del mezzo televisivo, un’evanescenza che per Karen Carpenter assunse le stigmate del sogno famigliare che si tramuta nel suo rovescio più oscuro. E’ probabile che Giannoli abbia tratto linfa da quest’idea di nullificazione che traspare dalle ultime apparizioni della Carpenter in televisione, Icona “oscena” già visibilmente divorata dall’anoressia e digerita dallo star system, per partire da un presupposto speculare, quello della non locabilità dell’immagine virale. Martin Kazinski, impiegato in una ditta di recupero materiali con una crew di ragazzi down, si trova improvvisamente sottoposto all’attacco concentrico di centinaia di occhi disincarnati, quelli dei passeggeri del metrò che con i loro smartphone cominciano a fotografarlo come fosse un fenomeno e ad avviare un processo di disseminazione istantanea della sua immagine sui network e le directories di condivisione sociale. I Media se ne accorgono in base al numero di visite uniche che i video disseminati in rete totalizzano in poche ore e decidono di costruire un talk show del dolore intorno a Kazinski; Giannoli insiste sulla non volontà di Martin di sfruttare questa improvvisa notorietà, punto di forza per i Media che nella società di condivisione di massa dove l’ipervisibilità istantanea ha ormai modificato tutti i micro sistemi relazionali, rappresenta il segno di una storia da veicolare come racconto esemplare: quello dell’uomo senza particolari qualità che vuole rimanere nel suo anonimato. Va riconosciuta a Giannoli una piccola intuizione di fondo che è quella di non rivelare l’origine della disseminazione; come se la matrice virale pre-esistesse e non mostrasse ne la genesi della serie tanto meno la sua fine; Giannoli confonde i motivi dell’improvvisa notorietà di Martin, e quando sembra addurle ad una foto galleria del protagonista, comprendiamo quasi subito che la slide show inclusiva della sua infanzia sembra esser stata divorata dalla rete senza un agente di propagazione del virus identificabile. Questa incorporeità dell’informazione, già oltre il concetto e qualsiasi possibilità di verifica, sfortunatamente non riesce a farsi carico di un linguaggio realmente virale, Giannoli usa quello più facile e anche più greve di una commedia di situazioni interamente basata sull’enunciazione, la ridondanza, la didascalia, la pesantezza della nota a margine, il dialogo intelligente preoccupato di sottolineare e spiegare, riducendo addirittura alcuni momenti ad un’imbarazzante parodia di “Quinto potere” che si risolve nella descrizione di una fisiologia dei Media già superata dall’autoreferenzialità dei Reality internazionali, ormai spinti senza limite verso l’implosione auto parodica; a casa nostra, basta pensare ai vip che entrano ed escono dall’arena di Maria De Filippi come informazioni già viralizzate prima che ci si possa solo illudere di rintracciare l’origine della disseminazione in termini di verificabilità. Se il virus rende allora la verifica un gesto già divorato da un’istantaneità replicante dove il prima e il dopo vengono cancellati, Giannoli si serve di un cinema debole, fatto di suture e spiegazioni, con il rischio di tramutarsi nella solita manfrina moralista che non riesce a farsi carico della mutazione di un linguaggio. Occorre forse rivedersi Wasted on the young, piccolo soprendente film frattale di Ben C. Lucas, oppure quella propagazione terribile della soggettiva virale che è il “vecchio” e ancora insuperato Demonlover di Olivier Assayas, dove il passaggio da corpo a informazione non lascia nessuna traccia se non quella possibile di un’assunzione di (ir)responsabilità politica.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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