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Venezia 69 – Fuori Concorso – Bait 3D di Kimble Rendall (Australia, 2012)

Ci si chiede cosa sarebbe potuto essere Bait 3D se a portarlo a termine fosse stato Russell Mulcahy, dal 2009 al 2010 regista accreditato dalla Arclight, prima che la guida del film passasse tra le mani di Kimble Rendall; Fuori concorso a Venezia 69, la recensione...

Ci si chiede cosa sarebbe potuto essere Bait 3D se a portarlo a termine fosse stato Russell Mulcahy, dal 2009 al 2010 regista accreditato dalla Arclight, prima che la guida del film passasse tra le mani di Kimble Rendall, altro veterano del Videoclip, meno produttivo e geniale di Mulcahy e con un solo lungometraggio all’attivo  intitolato  Cut, slasher sgangheratissimo filmato nel 2000. Di Mulcahy, oltre alla produzione esecutiva, rimangono tracce nella sceneggiatura, presente nei credits ufficiali. Sono piccoli segni di vita che ci permettono di riconoscere, in forma del tutto addomesticata,  il percorcorso di una creatività spastica e fuori controllo votata all’accumulo di frammenti pop in collisione, senza tornare troppo indietro basterebbe recuperare quel delirio retorico-cinefilo che è Give’em Hell malone, l’ultimo film diretto da Mulcahy, noir di superfice, essenzialmente fondato su un’idea ludica di cinema e diretto con quel disequilibrio tra stilizzazione e bassi istinti anni ’80. Del resto, senza nessuna intenzione nostalgica, riguardarsi “Video Killed The Radio star“, uno dei prototipi più noti di tutta la produzione videoclippara che sarebbe esplosa negli anni ’80 grazie anche ad autori come Mulcahy, può aiutarci a comprendere quella sovrimpressione portentosa tra le nuove possibilità dell’allora mezzo televisivo, la performance dei promo video che diventava evanescente e ubiqua (effetti mirror, chroma e via dicendo) e l’ottimismo visionario di Nam June Paik; ovvero metter tutto dentro, concentrare decenni di immaginario performativo in una nuova immagine catodica, fatta (anche) di relitti. In fondo Bait 3D è un film occupato da carcasse; teen movie, squali assassini, captivity movie, slasher per famiglie, il 3D come giocattolo basato sui volumi e molto poco sull’occhio. Un vero peccato che Mulcahy non sia riuscito o non abbia avuto voglia di raccogliere tutta questa spazzatura per farne una rutilante e contundente arma trash; rimane forse una sola sequenza improbabile e divertentissima, come quella del nuovo fidanzato Singaporiano di Tina che dopo aver deciso di perlustrare le acque minacciate dagli squali bianchi, viene imbracato come fosse un guerriero disabile con un’armatura ricavata dai carrelli della spesa, una straniante immagine retro futurista dentro un dispositivo senza nerbo; Kimble Rendall deve aver mollato lo spirito rock’n’roll e sinceramente cazzone insieme ai primi album degli Hoodoo Gurus.

 

RASSEGNA PANORAMICA
Voto
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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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