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Venezia 69 – Giornate degli Autori – Crawl di Hervé Lasgouttes (Francia, 2012)

Sono i ritratti di vite difficili il tema su cui si impernia Crawl, dell’esordiente Hervé Lasgouttes. Storie ambientate in Normandia, in quelle periferie la cui apparente marginalità finisce per rassomigliare tutti gli individui e i luoghi. Martin e Gwen sono due giovani che si guadagnano il diritto alla vita come possono: lui, orfano di madre, si arrabatta qua e là nonostante una totale avversione alle regole; lei lavora in uno stabilimento di lavorazione del pesce e coltiva il sogno di nuotare da professionista in Messico. Il loro incontro e l’amore che ne scaturisce mineranno questo precario equilibrio, ma non priveranno la vicenda di un onesto lieto fine. Il setting del film vorrebbe imporsi per la propria peculiarità, ma finisce per arrendersi alla logica del già visto. L’errore non è tanto nella regia, quanto nello script: rischioso affidarsi al naturalismo evocatorio di luoghi già sfruttati da Kaurismäki nel recente Le Havre. Le atmosfere uggiose e le storie da piccola cronaca locale si richiamano apertamente, perdendo così quella ingenua autenticità che dovrebbe invece sostenere l’intera rappresentazione (un fenomeno che si conosce bene anche in Italia, come per il Friuli di La ragazza del Lago o Come Dio comanda). Lasgouttes cerca di caratterizzare al meglio il materiale a propria disposizione. Sul piano visivo tenta di colorire il carattere piatto della periferia: la ricorsione virale di immagini concrete (la pesca e il taglio del pesce, ma anche gli elementi atmosferici) dona al film un insperato carattere grottesco, tanto da ricordare le scene di “erotismo ittico” del norvegese Knut Erik Jensen in Brent av Frost (1997), seppur prive di trasgressione. A livello formale il regista opta per una scrittura frammentaria dell’immagine, quasi da automavision: gli stacchi sono frequenti e bruschi, alternati ad una ricerca antitetica dell’immagine piena, priva di campi e punti di fuga. Il ritmo del film tenta invece di imporsi per mezzo di una struttura a più voci, all’interno del quale si intrecciano le vicende non solo di Martin e Gwen, ma anche della famiglia di lui. Il problema è che la ricerca di un tessuto narrativo inutilmente complesso porta lo sguardo dello spettatore a perdersi, dal momento che vengono raccontate troppe storie contemporaneamente. Invece di concentrarsi su uno sviluppo all’unisono, Lasgouttes crea inevitabili scompensi che privano Crawl della necessaria comprensibilità. Piace però pensare che sia un effetto voluto: un modo di descrivere quell’atmosfera sovente banalizzata della provincia, dove pare sempre accadere tutto e niente. Un’intenzionalità molto forte e visibile, quella di Lasgouttes, che ha spinto la giuria de Giornate degli Auoti/Venice Days a conferire a questa pellicola il premio come miglior film della rassegna autonoma.

 

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