Il nuovo film di Frédéric Fonteyne sembra ritagliato sul personaggio interpretato da Anne Paulicevich, che non a caso firma la sceneggiatura originale di Tango Libre insieme a Philippe Blasband. Alice, infermiera e madre di un figlio di 15 anni, è sposata con lo Spagnolo Fernand e flirta alla luce del sole con il Belga Dominic, entrambi, rinchiusi in carcere per scontare una pena per omicidio, vedono la donna durante le ore di visita in un triangolo fatto di allusioni e sentimenti trattenuti; mentre Fernand ha un approccio più passionale ed erotico nonostante la presenza dei secondini, Dominic affronta gli incontri con Alice in modo distaccato e dolente, dei due è infatti quello che dovrà scontare una pena molto più lunga, tanto da mettere in crisi qualsiasi prospettiva futura. J.C., una delle guardie carcerarie si trova ad accompagnare Fernand in uno dei giorni di visita, appena scorgerà Alice dall’altra parte del vetro, riconoscerà la recente compagna di ballo incontrata durante le lezioni serali di Tango. Con questi presupposti Fonteyne complica sempre di più l’intreccio di relazioni servendosi del ritmo di una “dramedy” dalla geometrica scansione musicale; il tango non è solo, banalmente, un rivelatore delle dinamiche che alimentano il desiderio ma anche un’occasione di libertà relazionale che si riverbera come propellente cinetico nel contesto carcerario; quando Fernand scoprirà che Alice balla con la guardia, dopo una reazione violenta, chiederà alla micro comunità argentina presente in carcere delle lezioni di ballo per poter competere pur in uno stato di cattività; il carcere si trasformerà in una palestra di tango consentendo a Fonteyne di lavorare su una sovrapposizione di segni enunciati esplicitamente, che di fatto portano all’anti utopia disfunzionale come l’unica possibile espressione di un desiderio affettivo completo che dissolva i confini dell’orientamento di “genere”. Con un’attenzione del tutto manieristica ai dettagli, il propellente musicale del film risiede sfortunatamente tutto nella supremazia normativa del montaggio, e non certo nei corpi o nella libertà improvvisativa dei singoli numeri (si rimpiange davvero il primo Tony Gatlif), congelati ad una distanza formale, già inscritti in un gioco di relazioni apparentemente complesso, di fatto già dato in modo schematico; il movimento diventa un gioco ritmico visivo esteriore e non emerge dai corpi. Il cinema chiuso di Fonteyne, autore tra gli altri del sopravvalutatissimo pamphlet sulla volatilità del sentimento amoroso “Une liaison pornographique”, si rivela con Tango Libre, probabilmente per la prima volta in modo così chiaro, in tutta la sua inerzia convenzionale.