Trasmessa da HBO lo scorso marzo, la mini serie di Todd Haynes scritta insieme a Jon Raymond arriva per la prima volta in Italia a Venezia 68 nella versione integrale costituita da 5 episodi per più di cinque ore complessive di grande cinema dell’occhio; la sua Mildred Pierce sembra una trasposizione fedele del romanzo di James M. Cain, più di quanto non lo fosse il film diretto da Michael Curtiz nel 1945, ma è nella sua aderenza alla superficie del testo e alle strategie del ritmo del romanziere americano, un lavoro vertiginoso per stratificazione, un dispositivo molto complesso che nasconde più di altri film di Haynes la vocazione intertestuale in un involucro narrativo classico, ma che proprio per questo, spostando tutto al livello dell’occhio, si rivela uno dei suoi lavori più radicali e ricchi di stimoli.
Infestato da riferimenti pittorici (Joseph Stella, Hopper, rifrazioni Hockneyane che diventano vetri e diaframmi dello sguardo Fassbinderiani, l’esplosione optical indietro nel futuro) e animato dalla stessa filologia delle pagine di Cain, ma da un punto di vista documentale e ottico (la ricostruzione delle cucine, i volti delle lavoratrici donne scolpiti da una luce simile a quella degli scatti di Dorothea Lange) rispetto al mondo Sirkiano “chiuso” e sin troppo perfetto di Far from Heaven, nonostante le luci meravigliose di Ed Lachman, percorre una via più rutilante e selvaggia, consentita anche dalla durata, aspetto che permette ad Haynes di lavorare su registri molto differenti, e di far debordare il melò in una serie di sequenze memorabili che mettono in contrasto decor, propensione alla distorsione ottica e il corpo degli attori alla deriva in spazi che li annientano.
E’ il background di Mildred, interpretata da una straordinaria Kate Winslet, che interessa a Haynes; cosi come per quello di karen Carpenter e le sue relazioni famigliari, o ancora la presenza fantasmatica di Julianne Moore disintegrata nello spazio casalingo, Mildred è nello stesso modo un corpo martire che assume a poco a poco le stigmate della storia antropologica Americana, vive in mezzo al marciume e incapace di vederlo, cerca di scorgere un orizzonte visivo che susciti un senso di meraviglia. Orfano del subplot noir che Curtiz aveva inserito come epilogo della sua versione cinematografica, la Mildred Pierce di Haynes punta su altre forme dell’incubo americano, ma in modo meno didascalico e scopertamente politico che in Far From Heaven, raccontando a poco a poco il cuore nero di una nazione.