“Non c’era assolutamente niente che mi desse la sicurezza che il mio progetto funzionasse, ed era esattamente questo che mi rendeva entusiasta” (Tristan Patterson)
Da questa edizione della Viennale un dato emerge forte e chiaro: il cinema di finzione forse no, ma il documentario gode di ottima salute. L’evoluzione delle tecnologie digitali, unita ad una minor spesa ed alla necessità di meno capitale umano ed economico, sta sempre più spingendo giovani e non giovani filmmaker di tutto il mondo a prendere la videocamera e andare. C’è un certo fervore creativo, dove spesso – e questo è forse il lato negativo della medaglia – il fervore diventa cieco, mero sfogo: l’artista filma essenzialmente perché gli va, se piace al pubblico si vedrà. Un approccio un po’ indie e un po’ lomografico.
Dragonslayer è un documentario sulla vita di Josh “Skreech” Sandoval, skater americano, fumatore di ganja, padre e ragazzo in cerca di lavoro. L’approccio di Tristan Patterson, qui alla sua opera prima, è appunto molto indie e ancor di più lomografico: alla base del progetto, infatti, sta uno sdoppiamento di punti di vista, un mix di materiale prodotto da Patterson e di materiale prodotto dallo stesso Josh, che prende la videocamera e ci fa un po’ quello che gli pare. Il rapporto tra soggetto filmante e oggetto filmato cambia nella misura in cui il soggetto talvolta coincide, talvolta si discosta asetticamente dall’oggetto. La personalità depressa e alterata di Josh, quindi, entra direttamente nel linguaggio filmico, interferendo, facendosi film in maniera spontanea.
La prima scena mostra il protagonista che, dopo aver trovato una vecchia piscina abbandonata, la pulisce pazientemente e inizia a “skatearci” dentro, per poi essere cacciato da una vecchia signora che minaccia di chiamare le forze dell’ordine. Questo è Josh: passione, caparbietà, emarginazione. Punk nel senso più tradizionale del termine.
Dragonslayer analizza, più che un movimento, un ragazzo, in maniera purtroppo un po’ sconclusionata. Un lavoro a cui manca uno scheletro, che paga il prezzo del suo orgoglioso vagabondare.