domenica, Dicembre 22, 2024

Viennale 2011 – Nana di Valérie Massadian (Francia, 2011)

Fare film è come cucinare: elaborare lo script è come fare la lista degli ingredienti, girare le singole scene è come comprare i prodotti al supermercato, montare è cucinare. Poi, il tuo piatto può piacere o meno, a seconda dei gusti”. Valérie Massadian

È curioso vedere come nel cinema contemporaneo personalità dalla formazione non cinematografica si accostino alla settima arte per piacere, per caso, per necessità. È il caso di Valérie Massadian, fotografa francese, autrice di questo film breve, curioso, misterioso. Nana, bambina di quattro anni, vive con sua madre, in una casa disordinata e immersa nella campagna francese. Un giorno la madre se ne va, e Nana rimane sola, alle prese con i piccoli problemi della vita. La narrazione avanza per long takes, piani freddi e tanto studiati a livello compositivo (la formazione fotografica dell’autrice è evidente) quanto improvvisati a livello recitativo. Nana è il racconto di un incontro, un incontro reale, “un giorno al mercato”, tra Valérie Massadian e “una piccola strega”, come la definisce l’autrice. Tra i due nasce un vero e proprio amore; da lì, la volontà di fare un film scarno, ridotto all’osso, “io il cameraman e il fonico”, con luci naturali e soprattutto con una scelta di campo non-interventista. Nessuna scena conta più di tre shot, non una singola parola del film è stata imposta (dice l’autrice: “ho dovuto scrivere un trattamento di venti pagine, ma solo per ricevere fondi dalla Region Île-de-France”): Nana detta legge e la macchina da presa segue, letteralmente in ginocchio. Eppure, non siamo nel campo del documentario: la componente finzionale è ben presente; la creazione artistica c’è, è forte, ed è tutta in fase di post-produzione, un lavoro muscolare di sintesi di ben 60 ore di girato. Sintesi di un esperienza alchemica, tra il soggetto filmato e il cinéma circus, come Nana lo chiama in una scena. Interessante negli intenti, il film di Massadian manca di un vero e proprio impianto narrativo, del quale alla regista sembra non importare molto (anche in questo la formazione fotografica è palese). Soprattutto, però, manca di un intento: atto d’amore e allo stesso tempo studio oggettivo, nella sua volontà di intuire il fuori campo dalla lenta contemplazione di quello che è in campo (e il non detto da quello che è sommessamente farfugliato) risulta noioso, arido, incurante dello spettatore. Il mercato cinematografico ti può far sentire in gabbia, d’accordo, ma può anche metterti a tu per tu con la necessità di dialogare non solo dentro lo spettacolo, ma anche e soprattutto fuori da esso.

Raffaele Pavoni
Raffaele Pavoni
Raffaele Pavoni (Piombino - LI, 15/04/1987) si è laureato in Discipline delle Arti, della Musica e dello Spettacolo nel 2008, e ha ottenuto il diploma CESCOT di Tecnico Qualificato Documentarista nel 2009. Ha all'attivo documentari, cortometraggi, clip promozionali, collaborazioni con emittenti televisive e studi fotografici, partecipazioni a festival. Ha collaborato e collabora per varie testate web. Vive e lavora a Firenze.

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