Grande successo allo Stensen di Firenze per l’anteprima di Wishes on a Falling Star; il film su una visione inedita di Cuba realizzato da Jacopo Cecconi, Gianmarco Sicuro e Paolo Cellammare; Caterina Liverani, oltre all’incontro con gli autori del documentario, proiettato lo scorso 3 febbraio, ci regala un’interessante doppia Intervista, in esclusiva per indie-eye, rilasciata da Jacopo Cecconi e da Gordiano Lupi, traduttore Italiano di Yoani Sanchez, coraggioso editore indipendente e esperto a tutto tondo di cultura Cubana (le foto sono prelevate dal profilo Flickr di Paolo Cellammare)
Una serata animata e stimolante quella che si è svolta all’Auditorium Stensen di Firenze giovedì 3 febbraio. Jacopo Cecconi e Giammarco Sicuro, giornalisti alla sede Rai Toscana e il fotografo e film maker Paolo Cellammare hanno presentato al pubblico fiorentino Wishes on a Falling Star, il documentario che hanno girato a Cuba nell’estate del 2009 senza visto giornalistico e senza la supervisione di un ufficiale governativo cubano come vorrebbe la legge, ma catturando la realtà della vita cubana con una semplice videocamera, spesso nascosta con la quale hanno anche realizzato un’intervista a Yoani Sanchez autrice del blog Generacion Y (pubblicato in Italia dal sito internet de La Stampa e dall’Internazionale).
I 3 autori insieme al giornalista, scrittore e traduttore italiano di Yoani Sanchez Gordiano Lupi hanno brevemente introdotto la proiezione: «Non speravamo in una sala così gremita per il nostro progetto indipendente e ringraziamo ovviamente Gordiano per essere con noi. Era prevista anche la partecipazione di Mercedes Fria che ha scelto però di non intervenire, a noi dispiace ma ovviamente rispettiamo la sua decisione. Per girare il nostro documentario siamo partiti senza visto giornalistico e la cosa ha creato non poche difficoltà perché abbiamo dovuto lavorare “clandestinamente” ; l’alternativa sarebbe stata lavorare supervisionati da un ufficiale governativo». Filo conduttore del film è l’intervista a Yoani Sanchez che si inserisce in mezzo alle molteplici realtà raccontate. Dai molti fatti mostrati, per lo più filmati con la videocamera nascosta, emerge un ritratto preciso, incalzante e talvolta ironico della realtà cubana odierna, fra anziani nostalgici e giovanissimi pronti a tutto pur di fuggire. La piaga della prostituzione, le difficoltà economiche e la mancanza di una informazione libera sono registrate con rigore e offrono allo spettatore molti spunti su cui riflettere. Un’operazione finalmente giovane e senz’altro coraggiosa che tratta un argomento molto “caldo” e delicato che ha suscitato reazioni anche contrastate tra il pubblico presente allo Stensen, dando vita ad un un confronto molto vivace con gli autori. Il dibattito che ha seguito la proiezione e che ha evidenziato profonde differenze di punti di vista in platea, si è aperto con l’intervento di Gordiano Lupi: «Scrivo di Cuba da molti anni, ci sono stato e ho scoperto con amarezza che ciò in cui credevo è molto diverso. Ho conosciuto Yoani tramite una mia amica cubana, anche lei blogger che mi aveva passato un suo post che si intitolava “La mia Avana”. Poi lei mi ha contattato e mi ha chiesto di aiutarla con il suo blog. La realtà mostrata da questo documentario riflette quella raccontata da Yoani, che, come tutti noi, si augura un cambiamento non solo economico ma anche e soprattutto culturale che aiuti le persone, i giovani, a pensarla diversamente dal regime. »
«Non avevamo previsto inizialmente di contattare Yoani perché era un grosso rischio, ma abbiamo deciso di farlo.» ha spiegato Giammarco Sicuro «Le abbiamo mandato una mail nella quale le chiedevamo di contattarci, non ci speravamo ma ci ha richiamati e l’abbiamo vista in un luogo pubblico, una piazza. È stata la cosa più sicura ed è un luogo che lei sceglie sempre per parlare con chi viene da fuori, è difficile che qualcuno sparisca in una piazza piena di gente in pieno giorno.»
Alle osservazioni mosse dal pubblico sullo stile e sul montaggio, giudicato da alcuni un po’ troppo commerciale e sintetico, i giovani film maker hanno risposto approfondendo la volontà alla base della loro scelta stilistica: «Il montaggio è stato realizzato con uno stile giovane e dinamico in netto e voluto contrasto con il messaggio che il documentario ha veicolato» ha precisato Paolo Cellammare che ha poi proseguito sull’uso, da qualcuno giudicato poco ortodosso, della videocamera nascosta: «Il problema etico ce lo siamo posti ovviamente, ma per un progetto come questo era l’unico sistema, a Cuba c’è troppa paura. Il problema del regime e la mancanza di libertà ci sono, non si può ignorarlo».
«Le riprese del documentario sono durate 20 giorni e per il montaggio e la lavorazione ci sono voluti 6 mesi. In tutto abbiamo più di 12 ore del girato, ma perché il documentario abbia una fruibilità e un’immediatezza maggiore abbiamo dovuto rispettare dei criteri che implicano per forza un’operazione di sintesi giornalistica» ha proseguito Jacopo Cecconi rispondendo alle domande sulla durata del documentario.
Approvazione e condivisione da parte del pubblico più giovane presente in sala che ha gradito le scelte stilistiche degli autori, riconoscendo la passione e l’impegno che emergono dal progetto, dimostrata con interventi che hanno arricchito il colloquio con considerazioni e racconti di viaggi fatti a Cuba. Toccante la testimonianza di uno spettatore che ha preso la parola all’inizio del dibattito raccontando di essere un disertore del servizio di sicurezza di Cuba: «Ho amato la mia patria, la amo ancora. Ciò che più mi ha rattristato vedendo il documentario è stato constatare quante ragazze si dedicano alla prostituzione. La nostra cultura è così bella, è musica, colore. Purtroppo sono 14 anni che non posso vedere la mia famiglia e voglio dire stasera Viva Cuba libre e abbasso il castrismo, precisando, non il comunismo ma il castrismo. Nel film ricorre spesso, anche attraverso le parole di Yoani Sanchez il termine paranoia, ed è giustissimo, a Cuba regna la paranoia.»
Jacopo Cecconi e Gordiano Lupi hanno risposto così alle domande che Indie-eye ha rivolto loro dopo la proiezione di Wishes on a Falling Star:
Come è nata l’idea di questo progetto?
J.C. Io ho dei parenti in Repubblica Dominicana e ho studiato la storia della dittatura di Trujillo, su cui mi sono laureato. Appassionato al tema, ho pensato che Cuba rappresentava la strada esattamente alternativa. Una sorta di sliding doors. Fino al 1959 erano due realtà simili, con due dittature simili. Poi a Cuba ha trionfato la rivoluzione, a Santo Domingo il socialismo è stato represso nel sangue. Nel 2004 sono andato all’Havana per la prima volta. Tornato, ho visto che i miei racconti suscitavano stupore e interesse. Ho pensato: la prossima volta ci vado con una telecamera nascosta e mostro quello che vedo: niente più e niente meno. Ed ecco che, diventato giornalista, l’ho fatto. Giammarco e Paolo avevano l’esperienza, la grinta e l’entusiasmo fondamentali per integrare le mie mancanze e il sodalizio è stato perfetto.
Avendo dovuto girare la maggior parte del materiale in clandestinità quale è stata la difficoltà tecnica maggiore in fase di montaggio?
J.C. La difficoltà maggiore è stata avere a che fare con un corpus molto grande di girato. Il fatto di non preparare le interviste in modo tradizionale, ci costringeva a tenere la videocamera accesa quasi sempre. Ogni volta che parlavamo con qualcuno, poteva esserci in agguato una notizia. Avevamo una parola d’ordine per dirci a vicenda di accendere la telecamera. Vedere tutto il materiale grezzo e isolare ciò che poteva essere utile ha richiesto molto tempo. Soprattutto Paolo ha fatto un lavoro straordinario.
Avete dei modelli o dei riferimenti nel mondo del documentario filmato?
J. C. Certamente ne abbiamo molti, ma il background vero è quello del giornalismo televisivo. La cronaca, almeno in fase di produzione, ha la precedenza su tutto. E anche nel ritmo del montaggio, nella sequenza delle scene e nel lessico dei testi abbiamo mantenuto il ritmo tipico del “restate con noi”. Ogni argomento deve portare ad un altro e ad un altro e ad un altro ancora, in modo che la curiosità alimenti altra curiosità. Speriamo di esserci riusciti.
Il documentario si può vedere integralmente su Youtube, quale è la risposta della rete? (N.d.r: qui la versione Italiana)
J. C. In rete le visualizzazioni sono già migliaia, in tutte e tre le lingue disponibili: Italiano, Inglese e Spagnolo. Chiunque può andare a vedere i commenti lasciati su Youtube. Sono soprattutto di Cubani. E sono praticamente sempre positivi. Per noi, una sorta di bollino di qualità. E’ vero, si potrà dire che sono tutti cubani che vivono all’estero, quindi di parte. Beh, quelli che vivono a Cuba su Youtube non ci possono andare…
Vi piacerebbe filmare e raccontare qualche altra realtà?
J. C. Potenzialmente, ogni luogo ha un suo fascino. Sento continuamente storie interessanti in posti impensabili che mi piacerebbe documentare. Se sei un film-maker indipendente, però, non hai molto tempo e molti soldi per prepararti. Devi andare dove sai già più o meno quello che puoi ottenere. Quindi il mio mondo di riferimento è quello dell’America Latina. Ma le idee sono la parte principale del lavoro. Non si svelano.
Gordiano, quando ha iniziato ad occuparsi di Cuba?
G.L. Nel 1998. La prima cosa che ho fatto è stato il romanzo Encrucijada (contenuto in Orrori Tropicali, Edizioni Il Foglio Letterario), ho continuato scrivendo romanzi e racconti che avevano come protagoniste giovani ragazze cubane e uomini senza una certezza per il futuro in lotta per la sopravvivenza (Nero tropicale, Edizioni Il Foglio Letterario e Una terribile eredità, Perdisa Pop). Ho tradotto autori come Alejandro Torreguitart Ruiz (Machi di carta e Cuba particular editi da Stampa Alternativa; Vita da jinetera, Mister Hyde all’Avana, Adios Fidel, Il mio nome è Che Guevara…), Felix Luis Viera, Heberto Padilla, Yoani Sanchez, Orlando Luis Lazo Pardo, Claudia Cadelo. Ho scritto alcuni reportage narrativi come Almeno il pane Fidel (Stampa alternativa), Cuba magica (Mursia), Un’isola a passo di son (Bastogi), Mi Cuba (Mediane)… Adesso sto lavorando a una storia del cinema cubano rivoluzionario e a una biografia romanzata di Guillermo Cabrera Infante. Cuba è la mia passione principale, assieme al cinema italiano, rappresenta per me un debito da saldare perchè è stata un’ancora di salvezza in un momento difficile della mia vita.
Lei è traduttore del blog di Yoani Sanchez, ci sono altri giovani blogger cubani che raccontano la loro realtà?
G.L. Certamente. Non hanno la stessa popolarità di Yoani ma lavorano molto bene. Cito tra tutti Claudia Cadelo (Octavo cerco), Orlando Luis Pardo Lazo (Lunes de post revolucion e la rivista Voces), Miriam Celaya, Lia Villares (Habanemia), Reinaldo Escobar (il marito di Yoani che gestisce Desde Aqui), Dimas Castellanos… ma non sono i soli. Si tratta di blogger spontanei, giovani con molte idee in testa e tanta voglia di comunicarle, decisi a oltrepassare le barriere ideologiche e a esprimere la loro opinione liberamente. Ho tradotto alcune cose di questi autori e penso che tra tutti il più dotato sia Orlando Luis Pardo Lazo, grande fotografo e raffinato poeta.
Quale è il rapporto dei giovani cubani con internet e i suoi canali di informazione, malgrado le difficoltà ad accedervi mostrate anche nel documentario Wishes on a Falling Star ?
G.L. Un rapporto difficile. Yoani Sanchez non può vedere nè aggiornare il suo blog (oscurato e poi la connessione è lentissima). Lei spedisce i post una volta alla settimana ai suoi corrispondenti esteri e siamo noi a pubblicare. Non è facile, ma questi ragazzi hanno la testa dura. Non li fermeranno.
Il dibattito che ha seguito la proiezione è stato particolarmente acceso, quale è la sua posizione rispetto a chi ha criticato l’aspetto stilistico del documentario?
G. L. A mio parere il documentario è ottimo. Credo di essere stato tra i primi a dedicargli una lunga ed entusiasta recensione (sulla rivista www.tellusfolio.it). Per i particolari vi invito a leggere l’articolo (http://www.tellusfolio.it/index.php?prec=/index.php&cmd=v&lev=65&id=10675).
I lettori di questa sezione di Indie-eye sono appassionati di cinema e il tema del cinema cubano è stato sollevato durante la serata, qualcuno lo ha definito un ottimo punto di partenza per iniziare a conoscere meglio Cuba, quali pellicole potrebbero essere le più interessanti per un approccio a questa cinematografia?
Questa domanda mi fa andare a nozze. Sto scrivendo un libro sul cinema cubano rivoluzionario… In italiano si trova poco, purtroppo, ma con una buona conoscenza dello spagnolo si può accedere a dei veri capolavori che si rifanno alla lezione neorealista italiana, al melodramma spagnolo, alla commedia grottesca e al gusto caraibico per il feuilleton romantico. Comincerei dallo zavattiniano Tomas Gutierrez Alea (Memorie del sottosviluppo, Morte di un burocrate, fino a Guantanamera e Fragola e cioccolato), passerei a Juan Carlos Tabio (Lista d’attesa è il solo titolo italiano, ma in spagnolo si trovano Se permuta, Plaff, L’elefante e la bicicletta, Aunque estés lejos e il recente Il corno dell’abbondanza), Humberto Solas (Lucia, Cecilia, Miel para Oshun e il favoloso Barrio Cuba), Fernando Perez (Clandestinos, Hello Hemingway, Madagascar, La vita è un fischio – reperibile in italiano – il poetico Suite Habana e il melodrammatico Madrigal), Julio Garcia Espinosa (Reina y rey, che cita il nostro Umberto D), Daniele Diaz Torres (su tutti il trasgressivo Alice nel paese delle meraviglie, elegante e surreale critica del comunismo cubano, ma anche Hacerse el sueco, Lisanka, purtroppo non doppiati in italiano), Orlando Rojas Feliz (Una novia para David e Papeles secundarios). Ci sono molti altri registi interessanti. Tra i nuovissimi cito Alejandro Brugues autore di Personal belogings e del primo horror della storia del cinema cubano: Juan de los muertos, un film di zombi con valenza politica che si trova adesso in fase di post produzione. Sono proprio curioso di vederlo… Non dimentichiamo Ernesto Daranas (Los dioses rotos) e Joel Cano (Siete dias siete noches), la nuova linfa del cinema cubano. E poi c’è Juan Padron, il cartone animato per antonomasia: Vampiros en La Habana e Mas vampiros en La Habana. Tra i cartonist interessanti va menzionato Hernan Henriquez, autore della striscia Gugulandia (edita in Italia da Cagliostro Press), un apologo critrico sulla società comunista, che ha dovuto trasferirsi negli States durante i primi anni Sessanta.