Ricca giornata stampa per l’anteprima tutta romana del nuovo film di Woody Allen, To Rome With Love, una dichiarazione d’amore incondizionato e spensierato per la città eterna, sfondo incantevole per quattro vignette a metà strada tra commedia degli equivoci e romanticismo in salsa nostrana. Un cast per metà italiano (Roberto Benigni, Antonio Albanese, Alessandro Tiberi, Alessandra Mastronardi e Riccardo Scamarcio tra gli altri) e per metà di stelle internazionali (lo stesso Allen, Penélope Cruz, Alec Baldwin, Judy Davis, Ellen Page, Jesse Eisenberg e Greta Gerwig) si incontra nella Roma delle cartoline, un’autentica “festa” per la creatività di ogni regista, ci racconta Woody. Mentre fuori diluvia, dentro la sala del cinema Embassy risplende la luce delle riprese agostane della pellicola, che pur strappando più di una risata alla stampa a qualcuno profuma di mancato “panettoncino”. Una lauta conferenza stampa all’Hotel Parco dei Principi vede sfilare alcuni dei protagonisti, mentre in prima fila siede parte del cast italiano assieme a Leo Gullotta, nuovo doppiatore di Allen. Woody racconta dell’esotismo romano, della piega tutta europea della sua ultima filmografia e dell’Italia vista dagli occhi di un americano innamorato del nostro paese dai lontani anni Sessanta. Tra l’arguzia di Benigni e qualche sana provocazione dei giornalisti si apre anche un piccolo spazio per decostruire la veste più stereotipica dell’ispirazione.
Questo film è un certamente un omaggio a Roma, ma è anche un omaggio ai grandi talenti del cinema italiano, al cinema di Fellini. C’è per caso qualche riferimento ai maestri, allo Sceicco Bianco forse?
Sono cresciuto con il cinema italiano, sono sempre stato e sono un grandissimo ammiratore del cinema italiano. Tutto ciò che nel film può sembrare come pertinente o come un riferimento al cinema italiano è di certo un riflesso di questa mia ammirazione, di ciò che ho assorbito negli anni, ma non è il frutto di una scelta propriamente conscia. D’altra parte è impossibile per chi è cresciuto in quegli anni come me non essere stato influenzato dal cinema italiano, dai film che arrivavano a New York, che io e i miei amici andavamo a vedere e che hanno lasciato in noi il segno. È naturale che quando si fa un film si tenda ad essere influenzati, a tirar fuori ciò che è stato assorbito nel corso degli anni, della propria crescita. Non è un’influenza voluta, tuttavia.
Ma qual è l’immagine che ha dell’Italia e quale ha voluto trasmettere con questo film? Quanto è stato influenzato dalla sua visione del nostro paese?
Tutti gli americani hanno un grande affetto per l’Italia, un paese estremamente caloroso, che ha contribuito enormemente alla cultura mondiale nel corso della storia, un posto molto alla mano, in cui la vita può essere goduta e che proietta un’immagine positiva, affermativa della vita. Se facessi un film in Svezia sarebbe permeato da una psicologia completamente diversa, da un diverso feeling. Gli americani hanno un grande affetto per molti posti europei: Parigi è uno di questi, l’Italia è nei cuori e nella mitologia americana. Abbiamo imparato sia dai film italiani che dagli italoamericani, nel nostro paese personaggi molto colorati, socievoli, che hanno a cuore la famiglia, personaggi molto positivi, anche un po’ ingigantiti, larger than life. (continua alla pagina successiva…)