L’11 Maggio arriva nelle sale Workers: pronti a tutto di Lorenzo Vignolo, una commedia che prende spunto dall’amaro presente delle nostre nuove generazioni, fatto di precariato e incertezze, ma cui non manca, stando allo sceneggiatore Stefano Sardo, la forza di mettersi in gioco e un imprevedibile spirito di adattamento. I tre episodi che animano il film giocano sugli estremi di tale adattamento, raccontati da tre situazioni limite a cavallo tra grottesco e, dice lo stesso Vignolo, un certo “naturalismo”, tra finzione e realtà, in un continuo andirivieni tra il serio e il faceto. L’agenzia di collocamento Workers di Sandro (Alessandro Filippi) e Filippo (Michelangelo Pulci) diventa così un porto d’attracco per disoccupati di ogni tipo, voci comuni che in un modo o nell’altro riemergono dalla disperazione attraverso impieghi un po’ borderline, ma che a ciascuno di loro restituiscono un punto di raccordo con un futuro migliore, con una ripartenza. Così Giacomo (Alessandro Tiberi) si ritrova a far da badante per un disabile scorbutico e oltremodo vizioso (Francesco Pannofino); Italo (Dario Bandiera) infrange i sogni della giovane Tania (Daniela Virgilio) e fintosi un medico si rivela all’amata un prelevatore di campioni genetici da esemplari di tori da riproduzione; Alice (Nicole Grimaudo), da truccatrice professionista finisce per imbellettare cadaveri per un’impresa di pompe funebri. Compito non facile quello di raccontare una realtà drammatica (e così profondamente sentita dal pubblico) col sorriso sulle labbra. Giovani pronti a tutto dunque, a “sporcarsi le mani” e rinunciare ai propri sogni pur di arrivare a fine mese. Regista e cast incontrano la stampa alla Casa del Cinema di Roma e ci raccontano il farsi di una commedia dei nostri tempi.
Come nasce l’idea di tirar fuori una commedia da un presente così drammatico?
Lorenzo Vignolo: Il mio obiettivo era fare una radiografia del momento, pur mantenendo toni leggeri. Se penso all’utente che magari già non trova lavoro e vuole andare a vedere un film su questo momento… che esca per giunta appesantito non era mia intenzione. L’idea nasce dal co-autore del soggetto, Galliano Juso, che già tempo fa voleva fare una commedia ad episodi riguardante lavori che non vuole fare nessuno. Col tempo il progetto si è trasformato, all’inizio ciascun episodio doveva essere girato da un registra diverso, me incluso. Juso, la guida spirituale del film, ha trovato l’interesse di Minerva Film, di Gianluca Curti e di Rai Cinema. Il film non vuole essere quello che non è… è un film molto diretto.
Stefano Sardo: Galliano Juso alcuni anni fa mi chiese di scrivere un soggetto su uno che va a fare da badante a… uno stronzo e lamentava il fatto che nessuno voleva fare un film su un paraplegico, perché troppo deprimente. Cinque anni dopo la lamentela di Galliano l’argomento si può approcciare con un altro spirito, anche alla luce del successo del film francese Intouchables. Gli spunti per gli episodi del film nascevano proprio in conversazione con Galliano. Gli episodi dovevano essere cinque, io avevo scritto solo quei tre [“Badante”, “Cuore Toro” e “Il Trucco”] e così è stato. Nel momento in cui ci siamo resi conto che stava diventando un film ci siamo chiesti che cosa andavamo a raccontare e l’idea è stata questa: per quanto queste persone facciano lavori difficili da accettare, che non corrispondono alle nostre aspettative sociali, li vivono tutti con uno spirito di rivalsa, di avventura. Nell’episodio “Il Trucco” si tratta di una vera e propria avventura. Questi lavori sono in fondo delle porte che aprono delle possibilità: per Dario Bandieri di incontrare la donna della vita, per Alessandro Tiberi di diventare una persona meno arida e per Nicole Grimaudo di entrare in un mondo quasi fantastico, pieno di eccitazioni. È stato un modo per far uscire quei lavori dalla sociologia e farli diventare materiale di divertimento. I temi scelti non determinano il tono: una volta che si decide di parlare di qualcosa si cerca di adattare il proprio tono naturale, il tono che si è scelto, congruo per quel progetto. Ogni tanto nella scelta dei progetti qui in Italia ci si fanno troppe pippe mentali su quello che si può o non si può dire, su quello che il pubblico vuole o non vuole vedere. Non sappiamo propriamente quello che il pubblico vuole vedere: racconti una storia, parti da un’idea e ci metti i sentimenti, il tono che stai cercando. Noi cercavamo di fare una commedia che raccontasse le difficoltà che ci sono, ma non con sociologismo, ma costruendo delle avventure divertenti.
Il tema del film è un po’ forte per l’Italia di oggi. Anche se con il sorriso voi avete voluto raccontare cosa capita a questi ragazzi che fanno di tutto pur di lavorare. “Bisogna pur lavorare”, come la ragazza alla fine del film; che responsabilità avete sentito nel raccontarlo con leggerezza?
Lorenzo Vignolo: Il film non ha una sola tesi e i personaggi che cercano lavoro hanno destini e un approccio diverso per ogni episodio. C’è chi si prende la libertà di mandare a quel paese il datore di lavoro come capita a Pietro Casella quando Dario [Bandiera] e Andrea [Bruschi] esercitano la loro pazzia finale; c’è Alessandro Tiberi che cerca di svincolarsi dal lavoro ma in qualche modo alla fine decide di rimanere, Nicole prende un’altra via, diventa quasi un’attrice verso il finale e un po’ quasi le piace. Nell’introduzione agli episodi ci sono invece più volti: lì ho voluto fare un mix di disoccupati veri, di persone che magari fanno le comparse di professione, mestiere di per sé molto precario; ho lavorato con Michelangelo Pulci e Alessandro Bianchi in modo da accompagnare la sceneggiatura con squarci di realtà. Ad Alessandro ho chiesto di intervistare le persone che arrivavano per la scena, erano quasi dei provini: molti dei loro racconti sono reali e persino i loro nomi. In altri casi ho sfruttato il campo lungo, in cui c’erano già Michelangelo e gli attori di turno, per chiedere a Michelangelo: “Vedi se riesci a tirar fuori delle battute divertenti”; da lì sono nate battute che sono passate agli attori, alle comparse di turno o alle persone trovate per strada. Tutta la recitazione si può dire “naturalista”: anche nel lavoro di casting per quelle scene non ho cercato pubblicitari o attori che declamassero le battute da istrioni. Io vengo dalla provincia, dove la crisi si è sentita forse ancora prima che nella grande città: molte delle persone che si vedono sono persone che incontro veramente tutti i giorni.
L’episodio “Badante” presenta un disabile a dir poco intrattabile. Come avete lavorato al personaggio?
Francesco Pannofino: Serviva uno stronzo e hanno preso uno stronzo vero, me, per fare il film. A me e ad Alessandro questa sceneggiatura è arrivata mentre giravamo la prima serie di Boris nel 2006. Mi è piaciuta subito e abbiamo dato la nostra adesione. È curioso vedere un portatore di handicap con un carattere così cattivo e bastardo nei confronti di chi lo deve accudire. Io mi sono divertito a mettere il piede sull’acceleratore anche di quest’aspetto. Il risultato è comunque buono, si crea un rapporto particolare tra il disabile e il badante e i due diventano amici.
Alessandro Tiberi: Il cinema ha sempre trattato il tema della disabilità in maniera non veritiera, secondo me: c’è sempre stata una visione del disabile come di una persona… triste, pensosa. Questo è il pregiudizio che il cinema ha creato attorno al tema della disabilità. Tra i problemi di Mario Spada c’è invece il non riuscire a procurarsi la cocaina, tra le altre cose. Non volevamo essere buonisti a tutti i costi, come spesso ci ha abituati ad essere il cinema.
Come sono state scelte le musiche?
Lorenzo Vignolo: Il musicista del film è in realtà lo sceneggiatore Stefano Sardo e dei suoi Mambassa. Io provengo anche dai video musicali, ne ho fatti più di 100, soprattutto per gruppi rock italiani: tra questi ho avuto la fortuna di conoscere dodici anni fa Stefano e il suo gruppo di Bra. Mi è sembrato naturale affidare a loro la colonna sonora, anche perché il lavoro di sceneggiatura, che ci ha preso un anno, è anche un po’ il pensare ai suoni… ho chiesto loro un casting di strumenti, volevo che fossero selezionati, partendo dall’ukulele e il banjo…
Stefano Sardo: L’ho fatto come lo fanno i compositori, scrivendo prima tutte le partiture e simulandolo con il computer. È stato tutto suonato sempre con la band e questo rende la colonna sonora un po’ diversa dal solito, perché siamo musicisti “ignoranti” e abbiamo fatto tutto molto empiricamente. Ci sono mandolino, banjo, xilofoni, pianoforti scordati… tamburi, bidoni. Credo che renda il film insolito, dia un senso un po’ tattile, che è un po’ il mondo cui abbiamo lavorato per tutto il film, empiricamente.