[youtube]http://www.youtube.com/watch?v=6oknb4V6F6U[/youtube]
Fish di Shaun Escayg (Usa)
Passando ai film veri e propri, si osserva come una larga proposta sia ascrivibile a grandi linee al genere crime (che per la sua connaturata icasticità più si adegua a descrivere il reale), laddove le dinamiche poliziesche sono più uno spunto per, almeno negli intenti, più attente e profonde riflessioni. L’ottimo americano Fish di Shaun Escayg, ad esempio, vede due ragazzi di Trinidad e Tobago, in condizione di miseria, dover arrangiarsi tra furti e scippi fino a far i conti con la vera criminalità locale. Un noir terzomondista, che riesce a descrivere le abiezioni dei dislivelli sociali con pochissimi tratti e con una crudezza che risulta assolutamente necessaria. Tensione realmente coinvolgente ed un finale amarissimo, senza speranza. Abbastanza vicino il danese No Exit di Jesper Isaksen che descrive la malavita musulmana in Danimarca divisa tra efferate violenze ed arcaici legami con le proprie tradizioni. Crudo e ritmato come un pezzo gangsta, sembra guardare al connazionale Winding Refn di Pusher ma con un approccio verista che può ricordare, anche per lo sguardo impietoso sulla comunità islamica, Il Profeta di Audiard. Controverso ma ben fatto. Ancora piccole comunità etniche (nello specifico quella Maori) e ragazzini improvvisatisi criminali nel gradevole canto di natale di Ebony Society del neozelandese Tammy Davis: storia di due studenti che tentano di svaligiare una casa e si ritrovano a fare i baby sitter. Malgrado il soggetto, il film è tutt’altro che divertente e chiude, anch’esso, lasciando intendere tutto il peggio possibile.
Bene anche lo spagnolo The Guilt – La Culpa di David Victori Blaya: una storia di omicidio e vendetta che sfocia in incubo Polanskiano. Girato all’interno di un palazzo (più il condominio di Rec che non quello de L’Inquilino Del Terzo Piano) dove chi si macchia di una colpa ne rimane prigioniero. Non originalissimo ma dalla struttura interna molto solida e dalle belle inquadrature che contribuiscono allo straniamento suggerito dalla storia. L’australiano Scruples di Adrian Powers sfrutta l’archetipo classico del genere poliziesco (da Serpico a Traning Day): lo sbirro buono infiltrato in un giro di sbirri corrotti. Lo fa senza eccessi, con un ritmo piano ed una fotografia dai toni freddissimi, alla francese. Un po’ didascalico, un po’ serie Fox, ma nel complesso riuscito. Commedia nera è, invece, Learning Spanish the Hard Way dell’americano Eric Stoltze, dove un corso di spagnolo in audiocassetta aiuta a sventare un sequestro nel giorno di Halloween. Carino, con un simpatico ragazzone in sovrappeso come protagonista, e niente di più. (continua a leggere nella pagina successiva…)