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Biondina di Laura Bispuri (Italia)
Toni da dramma invece in An Exclusive di Krzysztof Szot che filtra la malinconia della fine di una storia d’amore attraverso un caso delittuoso di cui uno dei due protagonisti è stato testimone e non solo. L’espediente, abusatissimo tra gli autori in concorso, della frammentazione dei piani temporali nonchè certe circonvoluzioni di macchina, forse vorrebbero alludere ad un Gaspar Noè rasserenato. Malgrado la messinscena impeccabile risulta troppo serioso e supponente. Ancora dramma sociale in salsa noir per The Child di Sebastian Mantilla, spagnolo ma girato in Sud America. Qui una ragazza con l’intenzione di abortire, nella spasmodica ricerca di un lavoro e di soldi, si presta a rapire una bambina per un malavitoso. Si troverà a fare i conti con l’inesperienza, con la paura e con la sua coscienza. Buone intuizioni visive e qualcosa che ricorda il primo Iñárritu (Amores Perros). Molto meglio fa il danese I’ll Keep an Eye on You di Torben Bech, che è invece una storia d’iniziazione criminale narrata in forma di piccolo dramma familiare, con uno stile algido e distante, attori in parte e una patina vintage (alcuni elementi datano la storia agli anni 80) dai colori freddi e sbiaditi. Un richiamo a Tomas Vinterberg, in ogni caso un gran bel lavoro. Al contrario il francese Ter Ter di David Lucchini e Fabien, nel raccontare vicende di microcriminalità delle banlieu si perde tra stereotipi abbozzati e retorica da strada.
Su un versante più “autoriale”: Skin of Glass del belga Lukas Dhont, che con una narrazione lenta e senza picchi rilevanti, descrive la vita di un gruppo di ragazzini all’interno di un collegio, lasciando che siano le lettere di questi alle rispettive problematiche famiglie a tracciare una sorta di piccola trama, peraltro interrotta da brevi sequenze più astratte. Il criterio adoperato da Dhont è quello della visione ravvicinata, sia sul piano visivo che su quello del testo, ma apparentemente distaccata. Molto, molto, bello; il riferimento diretto sembra proprio ai Dardenne. Interessante, in tal senso, notare ancora una volta questa definizione di precise scuole nazionali, è infatti subito riconoscibile come italiano Biondina di Laura Bispuri, ossia la giornata di una ragazzina, spesa tra la pesca delle anguille e le costrizioni della scuola media affrontate con piglio pervicace ed ingenua ribellione. Pressoché muto, il corto vive di riprese di respiro ampissimo, di una bella e nitida fotografia e riesce a descrivere una realtà difficile con brio, solarità ed estrema leggerezza, riuscendo, oltretutto, a disegnare un mondo intero in poco meno di dieci minuti. Con Anita Caprioli ed una severa Maria Nazionale, sempre più Guia Gelo partenopea. Non piacciono, al contrario, i toni moraleggianti dell’australiano Boot di Damien Power (in pratica uno spot contro la guida in stato di ubriachezza). Inspiegabilmente (considerando il tenore dei due corti in concorso) Power è presente anche con un’altra opera: il mediocre Bat Eyes, in cui un giovane, durante un esame oftalmogico, ripensa alla sua adolescenza, al suo primo amore, a quando prese in giro un compagno di classe proprio per la sua miopia. Sentori di pubblicità progresso anche per l’egiziano This Time di Ramy El-Gabry con al centro un’anziana signora abbandonata su una panchina dal figlio. Quest’ultimo può vantare però, oltre ad una maggiore sensibilità, almeno una protagonista bravissima. (continua nella pagina successiva…)