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Wickate di Niralji Ravishanker (Malesia)
Molto bello, al contrario, Photo For Baba di Harel Yana e Moti Malka da Israele. Realizzato da uno staff composto da tecnici ebrei e musulmani, narra la vicenda di un uomo che per racimolare del denaro, costretto dalle gravi difficoltà in cui vessa la sua famiglia, s’improvvisa terrorista. Salvo poi trovarsi alla guida di un gruppo sovversivo e tra i leader della rivoluzione tunisina del 2011. Problematico, con tanti dubbi insoluti, girato con mano attenta ed esperta. Splendide le sequenze in soggettiva. Certo, come tutti i film in gara che affrontano la questione mediorientale, anche questo non sfugge ad una certa retorica e ad una certa ambiguità. Gli effetti del secondo conflitto mondiale su di una piccola comunità rurale, sono al centro anche della produzione australiana di The Telegram Man di James Francis Khehtie, con il bravo caratterista Jack Thompson (Furyo, L’Amore E Il Sangue) nel ruolo di un portalettere vedovo, che suo malgrado, si ritrova a consegnare soltanto telegrammi alle famiglie dei caduti al fronte. Ancora la guerra e la storia a sconvolgere la quotidianità di una famiglia bosniaca nell’angoscioso Picnic dello spagnolo Gerardo Herrero. Padre, Madre e due bambini, durante una scampagnata si ritrovano a fare i conti con delle mine inesplose nei territori dell’ex-Jugoslavia. Fotografia e location splendide e tensione da horror iberico. Spunto molto interessante per un lungometraggio. Gentile e minimale è il libanese Super.Full. di Niam Itani, in cui una giovane coppia di sordomuti dove lui lavora in una stazione di servizio, vive nella trepidante attesa di racimolare la somma di denaro necessaria a poter festeggiare il compleanno di lei nel ricco ristorante di fronte casa. Richiamo a De Sica (la centralità della bicicletta) in un lavoro senza pretese e, forse proprio per questo, riuscitissimo.
Simpatico lo spagnolo Cortometraje Teta Y Sopa di Alberto Gómez: incontro/scontro tra una prostituta occasionale, dalla vita oltremodo complessa, ed il suo cliente trentenne, che può dirsi imprenditore solo grazie al ristorante di proprietà del padre. Conflitto di classe fra solitudini, non così dissimili come sembrerebbe, nella Spagna della crisi. Lieve ma disperante. Poco incisivo, invece, il russo Start The Engine And Reverse di Andrey Zagidullin, niente più che un incidente d’auto.
Curiosamente accostabili il malaysiano Wickate di Niralji Ravishanker e l’ucraino The Obstacle di Maxim Neafit Bujnicki e non solo per la scelta di operare sull’invecchiamento delle immagini in bianco e nero o per il senso di straniamento che comunicano. Intenti e contenuti sono del tutto dissimili e la stessa tecnica utilizzata ha premesse ed effetti completamente differenti. Il primo si presenta come un horror grottesco che ha come epicentro la cena di una famiglia asiatica che di colpo mostra il suo volto mostruoso. Il secondo è un omaggio al cinema russo classico (Tarkovskij su tutti), girato all’interno di una casa fatiscente. Questo, come l’altro, però, si offrono anche, come riflessione sullo sguardo dei bambini sulla realtà del mondo adulto. Qui la scoperta della sessualità e della morte; lì l’attenzione rivolta all’ipocrisia delle convenzioni borghesi (il pesce nell’acquario e quello divorato dai genitori). Qui si gioca col cinema sperimentale dei primi anni ‘60 del ‘900; lì ci si richiama a Masumara e Tsukamoto per ricreare sequenze irreali e di forte suggestione. L’ucraino tradisce la sua natura di saggio da scuola di cinema, di grande efficacia visiva, con dei bravi piccoli attori ma praticamente un falso storico con poche prospettive. Il malaysiano è, semplicemente, splendido! (continua nella pagina successiva…)
