Dopo il remake de Il grinta con Jeff Bridges (2010) i fratelli Coen tornano a cimentarsi con il genere western. Non stiamo parlando di un’opera a carattere revisionista, né di una rivisitazione contemporanea del western: La ballata di Buster Scruggs torna a guardare al Vecchio West dell’immaginario collettivo, ma procedendo controcorrente rispetto alla tradizione delle narrazioni epiche e magniloquenti tipiche di questo genere, mette in mostra una variegata antologia di “favole” della frontiera.
Questa tipologia di racconto cinematografico permette ai due registi di dare libero sfogo alla loro creatività: il risultato è prevedibilmente, un’accozzaglia di sei episodi dalla trama superficiale, ciascuno indipendente dagli altri. Una suddivisione rozza che si rivela una soluzione appena efficace, se ci si accontenta di un po’ di risate e qualche brivido.
Film come questa Ballata dei Coen, che tra i suoi protagonisti vede anche un attore/cantautore d’eccezione come Tom Waits, sono ottimi prodotti d’intrattenimento, fruibili facilmente da un pubblico ampio, ma non esigente (Netflix ha non a caso subito acquisito i diritti per la distribuzione). Il racconto breve, piaccia o no, permette al regista di lavorare intensamente su poco materiale, concentrando in una breve sceneggiatura temi, battute, climax. Uno dei vantaggi dell’operazione antologica consiste poi nel poter soddisfare spettatori diversi, attraverso un ventaglio di trame che nulla hanno in comune l’una con l’altra, fatta eccezione per il contesto (il Far West americano).
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Nel primo episodio protagonista è un infallibile pistolero, Buster Cruggs, soprannominato “usignolo” per le sue doti canore; nel secondo, un fuorilegge interpretato da James Franco è messo alle strette dall’addetto alla banca che cerca di rapinare; nel terzo l’impresario di un teatro su ruote (Liam Neeson) mette in scena uno spettacolo con un freak particolarmente acculturato; il quarto episodio segue la disperata ricerca di pepite d’oro da parte di un anziano cercatore (Tom Waits); il quinto, uno degli episodi più deboli, rievoca il mito dei pionieri della frontiera con la storia di una ragazza diretta in Oregon con la sua carovana; il sesto chiude il film con un’atmosfera più tenebrosa, raccontando l’incontro di cinque bizzarri personaggi nello spazio ristretto di una diligenza che, prima di arrivare a destinazione, “non può fermarsi”.
La ballata di Buster Cruggs tirando le somme non è niente di più di un semplice lavoro “made for Netflix”, uno scatolone narrativo in cui poter scaricare liberamente (e senza troppa serietà) situazioni bizzarre, scherzi del destino, un buon numero di scene musicali e finali che colpiscono allo stomaco. Quando invece si cerca di dare spazio all’emotività e al dramma, la brevità dell’episodio toglie tempo allo spettatore per simpatizzare con i personaggi. Sarà ricordato come uno dei lavori più mediocri dei Coen? Forse. Ma si sa, i racconti ambientati nel vecchio West hanno sempre un loro strano e irresistibile fascino e La balla di Buster Cruggs non fa eccezione.