Non poteva mancare anche quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia il film perfetto per chi non vede l’ora di poter gridare allo “scandalo!”. Questo ruolo nel concorso principale di questa 75° edizione spetta a The Nightingale, uno dei film più discussi, fischiati e criticati di quest’anno di festival. Si tratta del secondo lungometraggio per Jennifer Kent, la regista australiana che ha attirato su di sé attenzione e aspettative dopo il buon successo dell’horror Babadook. Il suo nuovo film è un cupo e cruento thriller (c’è chi parla di “gotico australiano”) ambientato nella prima metà dell’800 in una colonia inglese nell’isola di Tasmania. Protagonista è Clare, giovane detenuta irlandese che vive assieme al marito e una bambina piccola sotto il controllo tirannico di un ufficiale inglese, presso il quale stanno scontando la loro pena. Esaurito il periodo di prigionia, Clare prova ad opporsi all’influenza ferrea dell’ufficiale che, nonostante le promesse, non vuole lasciar libera lei e il resto della sua famiglia, costringendola nel frattempo a prostituirsi per lui. Fallito ogni tentativo diplomatico, l’inglese stanco di sentire le minacce del marito e i pianti della bimba li fa uccidere a sangue freddo. L’ufficiale viene allora inseguito dalla donna assetata di vendetta, accompagnata dalla fedele guida aborigena Billy.
Questa la premessa di sangue (consumata nel giro di pochi minuti) di una delle storie di vendetta più essenziali e disperate viste negli ultimi anni sul grande schermo. Il personaggio di Clare, interpretato dall’attrice italo-irlandese Aisling Franciosi, è costretto a perdere la maschera dell’innocenza per indossare quella della vendicatrice ed in questo, bisogna ammetterlo, riconosciamo un cliché narrativo molto diffuso al cinema, quella della donna violentata alla ricerca di rivalsa. Ma la regista collocando la vicenda nel XIX secolo non la proietta nella contemporaneità, nella quale il messaggio sarebbe immediato e forte, ma indietro nel tempo, tanto che i temi cruciali della violenza e della discriminazione razziale vengono “sprecati” in una narrazione sanguinolenta che nulla risparmia allo spettatore in quanto a scene di violenza.
Al di là dell’importanza attuale di dedicare un film alla vendetta delle minoranze, The Nightingale risente di una durata forse eccessiva e di una trama piuttosto ripetitiva che può rendere la visione pesante. Non ci sono colpi di scena o particolari climax di tensione e lo stesso finale non è infine catartico come ci si poteva aspettare. Suggestivo ed efficace invece l’uso del sonoro, specialmente nelle scene nelle quali Clare canta brani celtici (è lei “l’usignolo” del titolo). Ugualmente appropriata è la fotografia, che restituisce un’immagine fredda, desaturata, infondendo nell’ambiente la costante presenza di una minaccia indefinita, che il fitto bosco in cui Clare inizialmente dà la caccia al suo aguzzino contribuisce ad alimentare con la sua labirintica presenza. The Nightingale diventa così sin dai primi attimi un’esperienza cinematografica di difficile digestione, adatta ad un pubblico limitato di appassionati di genere che potranno apprezzarne l’atmosfera e in generale il cupo aspetto estetico.