Un battaglione di fiati si para ad accogliere l’avventore nelle lande dei Junkfood. Sembrerebbe di essere ai bordi di Città del Messico intenti ad osservare una parata musicale, con tanto di polvere, canicola e baffi dalla perfetta geometria che si allargano a macchia d’olio, se non fosse che la batteria pestata a sangue e le distorsioni torturanti alla chitarra danno l’impressione di procedere come moderni Odisseo a visitare i cari estinti laggiù nell’ombra scura.
Non a caso il titolo dell’album parafrasa in inglese l’ultimo verso della poesia di Giovanni Pascoli, Novembre. È la fredda estate dei morti quella che viene rappresentata nelle otto tracce dell’album dal quartetto emiliano Junkfood. Un album che si consuma nella contraddizione già espressa dall’antitesi del titolo. The Cold Summer Of The Dead essicca i paesaggi resi desertici dal freddo mortorio, li inaridisce consumandone la linfa vitale fino a renderli un reticolo sgretolato. Lo fa attraverso un flusso di pura sperimentazione, con ondate sonore massicce che colpiscono pesanti come schiaffi. C’è l’avant-jazz della tromba di Paolo Raineri (Days Are Numbered), il math cupo nella batteria livida di Simone Cavina (The Maze), la chitarra tagliente e libertina di Michelangelo Vanni (The Quiet Sparkle).
Un terribile grumo malvagio dove convogliano paure, rabbie e vendette ordite nell’ombra che esplodono con violenza assassina assumendo tutte le sfumature emotive racchiuse nel divagare di Below the Belt. Un album privo di preamboli, di poche parole (nessuna in verità) e che va dritto al nocciolo della questione. Registrato e missato da Tommaso Colliva presso le Officine Meccaniche di Milano The Cold Summer Of The Dead sintetizza noise, elettronica, jazz con sapiente alternanza, seguendo un andamento circolare che dona all’intero lavoro un senso di coerenza e gettando chi ascolta in uno straziante stato di agitazione.