giovedì, Novembre 21, 2024

La Luz: tra surf e divertimento – l’intervista

Quattro ragazze in giro per il mondo per portare a tutti il loro verbo, quello di una musica forse demodé, molto legata agli anni Cinquanta e Sessanta, ma che grazie a loro e alla freschezza che sono in grado di trasmettere diventa più che mai attuale, o quantomeno degna di essere suonata sui palchi più cool. Shana Cleveland, Marian Li Pino, Alice Sandahl e Lena Simon sono La Luz, arrivano da Seattle e hanno le idee molto chiare su ciò che vogliono fare: suonare e divertirsi, senza uomini tra le scatole, non nel nome della rivolta come le riot grrrls, che proprio a Seattle ebbero molte figure di spicco, ma delle ragazze che una trentina di anni prima scalavano le classifiche con brani di perfezione pop. A questo aggiungeteci una chitarra surf nel solco di Dick Dale e del Link Wray meno chiassoso e un pizzico di moderna attitudine indie ed avrete la miscela che rende così interessanti le quattro ragazze americane. Per saperne di più abbiamo incontrato Shana in occasione del passaggio della band da Milano lo scorso 15 aprile, ecco cosa ci ha raccontato.

La prima cosa che vorrei chiedervi è un breve riassunto della storia della band, perché in un paio d’anni di vita siete molto cresciute, direi…

Io e Marian abbiamo creato la band due anni fa, poi in breve tempo si sono unite a noi Alice e Lena. Sì, è stato tutto molto veloce, abbiamo registrato un EP, Damp Face, prima di aver suonato anche un solo concerto. Abbiamo usato l’EP come “carta d’identità” da mostrare a un po’ di gente per ottenere date. Poi abbiamo fatto anche un 7” e da lì abbiamo iniziato a suonare sempre di più fino ad arrivare al nuovo disco. È stato davvero veloce, mi fa uno strano effetto fermarmi a pensarci o raccontare la storia in breve come sto facendo.

Quindi non vi aspettavate una carriera del genere?

In realtà un po’ me la aspettavo, ma ero pazza a pensarlo! Invece poi ci è andata bene direi, già essere in Europa a suonare dopo meno di due anni è una grande cosa!

La vostra musica è essenzialmente una miscela tra il surf rock e i girl groups degli anni Sessanta, ma suona comunque fresca e moderna. Due domande quindi: cosa vi piace così tanto della musica anni Cinquanta/Sessanta? E come riuscite a suonare comunque così moderne?

Quello che mi piace di quel periodo è il fatto che ci fosse nella musica una creatività enorme, in tutto il mondo e soprattutto in America. Erano grandi tempi per il rock’n’roll, si pensava che fosse così potente da poter cambiare il mondo, penso che stare in una band in quegli anni fosse una cosa incredibile, che ci si poteva veramente dedicare anima e corpo alla musica e avere il sostegno di tantissima gente. Per quanto invece riguarda il nostro suono, credo che sembri così moderno perché è l’effetto della combinazione tra tutte le nostre influenze, siamo quattro persone che vengono da ascolti diversi; per questo motivo ognuna ha un suo stile particolare, che porta all’interno del concept musicale che portiamo avanti e lo modifica un po’.

In questi ultimi anni ci sono diverse band che suonano una musica riconducibile al surf rock, ma penso che voi siate tra le più fedeli al suono originale. Vi sentite parte di una scena “surf revival”? e vi sentite più vicine a band come i Best Coast e i Drums o ad altri?

Sono d’accordo con te sul fatto che siamo abbastanza vicine al suono originale, senza paura di sembrare un po’ kitsch. Non sento però di far parte necessariamente di una scena, perché in realtà facciamo cose molto diverse rispetto alle band che hai citato e anche ad altre con un suono del genere, e penso che chi ci ascolta si renda conto di questo e che apprezzi un suono più “legato alle origini” rispetto a quello degli altri gruppi. Se dovessimo trovare una nostra scena, di cui ci sentiamo parte, direi che è più legata alla provenienza geografica che ai suoni, quindi la West Coast dalla California fino a Seattle, abbiamo fatto molti tour e conosciuto molte band in questa zona. Credo ci sia un buon movimento in questi anni e che stiano uscendo molti buoni dischi.

Com’è dunque suonare a Seattle in questi anni?

Buono, la gente ha finalmente capito che ai concerti può fare anche altro per mostrare il proprio apprezzamento rispetto a stare ferma a braccia conserte, magari con il viso un po’ triste. Ora finalmente il pubblico balla, si muove; non so cosa fosse successo dopo il grunge e prima di questi anni, ma in quel periodo la gente stava ferma e non faceva nulla, anche se la musica era coinvolgente. Ora invece la gente ha capito che è giusto divertirsi ai concerti, quindi diventa divertente anche per noi che suoniamo.

In questi anni ci sono state anche molte band formate da sole ragazze, a partire dalle Vivian Girls per arrivare alle Dum Dum Girls per esempio. Pensate che sia un fenomeno che sta diventando veramente importante e che il rock maschilista sia destinato a finire? Avete mai avuto problemi per il fatto di essere tutte donne?

Non so se quell’era stia per finire e non credo sia così importante chiederselo. Per quanto ci riguarda, la prima volta che siamo andate in tour avevamo un po’ di paura a viaggiare da sole senza nemmeno un uomo che ci accompagnasse: era una paura totalmente stupida! Dopo pochi giorni ci accorgemmo che tutto andava bene e ora, dopo molte esperienze, non possiamo che confermarlo!

Leggendo la prima volta il titolo del vostro album, It’s Alive, ho pensato ai Ramones, e credo che siano venuti in mente a molte persone. Come mai avete scelto di utilizzare quel titolo, nonostante fosse già stato usato? Siete fan del punk?

Sì, e amo i Ramones. Ad essere onesti, non me n’ero accorta al momento. Pensavo solo a trovare un buon titolo per il disco, e It’s Alive lo era, perché il disco parla molto di vita e di morte. È un disco che va avanti a scosse, come chi vuole restare vivo, quindi direi che è un titolo perfetto, anche se forse non quello migliore, vista la concomitanza con i Ramones

Quali sono i tuoi chitarristi preferiti?

Link Wray più di tutti. Poi mi piace Buddy Holly e tutti i chitarristi di quel periodo che avevano un suono twangy.

Avete fatto uscire anche una cassetta: come mai? E in generale, qual è il tuo rapporto con i supporti fisici della musica?

Sono abbastanza old-school da quel punto di vista, ho molta musica sul computer, lo ammetto, ma voglio avere una copia fisica dei dischi che amo. Per quanto riguarda invece la scelta di far uscire una musicassetta, forse è dovuta al fatto che mi piace come suonano,  e perchè credevamo che quel tipo di suono fosse adatto alla nostra musica. Poi ho ancora molte cassette, dai tempi in cui iniziavo ad ascoltare musica e a suonare, e comunque c’è ancora un buon numero di band che fanno uscire musica su quel supporto, quindi è stata una scelta abbastanza naturale.

Com’è il vostro live? Più selvaggio rispetto al disco o simile ad esso?

Più selvaggio, direi. Anche se il suono della chitarra surf a volte porta a rallentare e a creare atmosfera, direi che c’è molta energia in quello che facciamo. Abbiamo visto molte altre band durante i nostri tour e credo che noi siamo tra quelle più energetiche.

Quali sono le canzoni che preferisci suonare dal vivo?

C’è una nuova canzone che mi piace molto, More Lately. Poi probabilmente You Can Never Know, in cui posso fare cose strane con la chitarra, che nel resto dei brani non posso fare.

Rimane simile alla versione su album o ci sono differenze?

La facciamo in una versione ancor più lento rispetto al disco, si crea un’atmosfera particolare, quasi psichedelica.

Quali sono i vostri progetti per il futuro?

Quando torneremo dal tour europeo inizieremo a lavorare al nuovo disco. Speriamo di farlo uscire nei primi mesi del 2015, abbiamo già qualche canzone che suoniamo in questi concerti più altre su cui invece dovremo lavorare di più.

La Luz in rete

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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