mercoledì, Dicembre 18, 2024

Les Claypool’s Duo De Twang – Four Foot Shack: la recensione

Quando i comuni mortali si prendono una “fottuta meritata vacanza”, vanno a Sharm el Sheik, alle Canarie, tutt’al più in Islanda se proprio prediligono il clima freddo. Les Claypool, bassista e cantante idolo dei nineties, non è di quest’idea: la sua percezione di vacanza è cosituire di punto in bianco unnuovo  gruppo per suonare le sue canzoni in stile bluegrass!

Il Duo de Twang è formato da Les e Bryan Kehoe, chitarrista dei M.I.R.V., e insieme si sono permessi di creare un disco partendo da un’unica esibizione live, quella al Hardly Strictly Bluegrass Festival di San Francisco. Basso e sezione ritmica, più chitarra elettrica, metà cover dei Primus e dei Les Claypool’s Fearless Frog Brigade e anche dalla carriera di Claypool, metà di altri gruppi: niente di più, niente di meno. Si potrebbe tacciare l’operazione di manierismo, se non si conoscesse il percorso artistico di Les Claypool, negando oltretutto la tecnica che in questo caso forma il 70% delle canzoni stesse. Il bluegrass è un genere tosto, deriva dal country ma lo appesantisce con il ritmo sostenuto e i florilegi. Sommiamo il fatto di suonare solo cover (l’unico inedito è la traccia d’apertura).

Il rischio era quello di creare una versione acustica brutta dei Me First & the Gimmie Gimmies. Per fortuna non è così. Il Duo de Twang è appunto un duo, e per loro è possibile sovrapporre la semplicità e l’asciuttezza del folk alla velocità e alla bravura performativa  necessaria per confrontarsi con il bluegrass.  A livello musicale, il basso slappato di Les conferisce una meccanicità ai pezzi insolita per il genere. Come se alla sezione ritmica fossero presenti basso e batteria di latta. Insomma, aria nuova anche nei generi musicali secolarizzati, incredibile.

E’ innegabile che le tracce a firma Primus/Les Claypool’s Fearless Frog Brigade/Les Claypool suonino come se fossero i demo di partenza da cui si è sviluppato quel miscuglio alt-rock-funk-country che ha reso Les Claypool stesso famoso, ancor prima dei suoi numerosi progetti. Wynona’s Big Beaver e Amos Moses (quest’ultima cover ripresa dai Primus) sono riconoscibilissime, Jerry Was a Car Driver è riscritta in forma ancora più veloce, D’s Diner torna back to the roots. Le cover più note, Stayin’ Alive e Pipeline, sembrano quasi dei contentini per gli avventori occasionali, proprio perchè c’è poco succo da tirare fuori a pezzi triti e rimaneggiati ovunque. Man in the Box degli Alice in Chains  sembra Ghostrider in the Sky ma vista dall’ottica delle cover, è quella che risulta più godibile. Considerando l’episodio come un atto unico il disco regge bene la prova: quella di essere un disco di cover originale, riconoscibile, anarchico, scanzonato.

Elia Billero
Elia Billero
Elia Billero vive vicino Pisa, è laureato in Scienze Politiche (indirizzo Comunicazione Media e Giornalismo), scrive di dischi e concerti per Indie-eye e gestisce altri siti.

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