Zoë Randell e Steve Hassett, Australiani, si incontrano per la prima volta al festival di Edimburgo; entrambi provenienti da esperienze musicali ormai giunte al termine, trovano una strana alchimia da cui trarranno i primi frutti solamente qualche anno dopo, quando decideranno di comporre i brani che saranno poi raccolti nel loro primo album a nome Luluc pubblicato nel 2008, quel “Dear Hamlyn” che attirerà l’attenzione di Joe Boyd, il produttore di Nick Drake; gli consentirà di aprire gli show per artisti come Lucinda Williams, Fleet Foxes e José Gonzàlez; garantirà l’inserimento di un paio di brani in due episodi di Grey’s Anatomy e li farà avvicinare a Aaron Dessner dei “The National“, produttore di questo nuovo “Passerby”, interamente registrato nel suo studio Newyorchese. Il contributo di Dessner diventa fondamentale dal momento in cui decide di affiancare al progetto parte dei turnisti della sua band, aggiungendo così all’impostazione acustica del duo una maggiore stratificazione e allargando lo spettro sonoro alla presenza di un contrabbasso, una piccola sezione fiati e una d’archi in formato “cameristico”, pianoforte e un drumming lontanissimo e narcolettico non distante da quell’incedere sottile del tempo che è presente nella discografia dei Low più vicini alla forma canzone, più o meno a partire da “Secret Name” in poi. Una vicinanza, quella con gli intarsi di Sparhawk / Parker, che Passerby evidenzia sopratutto per la voce della Randell nella posizione del propellente melodico, mentre negli episodi più visionari, sullo sfondo si avvicenda una complessa struttura armonica fatta di rumori impercettibili e una nota di piano sospesa (Early Night), i fiati che emergono in crescendo dal minimalismo della chitarra, come fossero un’apertura dell’orizzonte verso la luce (Without a Face, Tangled Heart).
A questa tendenza se ne integra un’altra più vicina alla tradizione country, rivista attraverso il “Jazz” non convenzionale di Richard & Linda Thompson oppure quello di Nick Drake, ovvero sviluppata entro un territorio che pur prendendo le mosse dalla musica folk spinge la scrittura verso un confine più contaminato (Gold on the leaves, Star), per poi affidarsi completamente alla “scrittura” vocale della Randell, la cui voce, più che a quella di Mimi Parker, a tratti sembra avvicinarsi alla seduzione pop di Aimee Mann o di Sarah McLachlan (Reverie on Norfolk Street, Senja).
Ma al di là della descrizione di un mondo sonoro che porta avanti il discorso introdotto dal duo sei anni fa, “Passerby” è una splendida raccolta di dieci cristalli abbacinanti che non risente di nessuna incertezza durante il cammino. Con la semplicità e la profondità emotiva dei classici, affronta la scrittura scarnificandola lentamente in una serie di suggestioni che sembrano emergere dallo spazio senza limiti del vuoto, mentre dall’altro lato ci viene data la possibilità di salvarci, seguendo la strada indicata dalle splendide melodie che la voce di Zoë Randell costruisce con una creatività e una forza che credevamo ormai perduta.