mercoledì, Dicembre 18, 2024

Pantera, Far Beyond Driven: rinati con occhi di serpente

Agli inizi del 1994 l’Heavy Metal era un malato terminale. La spinta propulsiva del thrash – il fermento che nel decennio precedente aveva rappresentato lo stato dell’arte in termini di estremismo sonoro – si era definitivamente esaurita. I Metallica, leader indiscussi del genere, avevano cercato e ottenuto un maggiore successo di pubblico con l’album omonimo del 1991. Giganti come Megadeth e Anthrax li avevano seguiti a ruota, edulcorando il proprio sound e alienando lo zoccolo duro dei fan. Dei “big four” solo gli inossidabili Slayer tenevano duro, ma la perdita di Dave Lombardo aveva costretto il gruppo ad un’inattività forzata che si sarebbe interrotta solo a fine anno. Nel frattempo i minori – incapaci di reggere l’urto di Nevermind e il confronto con l’imperante alternative – erano scomparsi o erano stati relegati nella semioscurità. Il proliferare del death metal in America e in Europa, così come il fenomeno tutto scandinavo del black metal, stavano dimostrando che in ambito underground la propensione verso l’estremo non era affatto scomparsa; tuttavia nessuno sembrava più in grado di conciliare brutalità e vendite considerevoli. Nessuno, ad eccezione di una ferocissima band proveniente dalla periferia dell’Impero Americano – l’area metropolitana di Fort Worth/Arlington in Texas – che si fregiava del nome ispanico di un grande felino.

Il successo raggiunto dai Pantera negli anni ’90 era il risultato di una titanica perseveranza, la tappa finale di un cammino iniziato molto tempo prima. Nel corso degli anni ’80, ancora giovanissimi, i nostri avevano autoprodotto tre album di hair metal generico. Nonostante le evidenti capacità tecniche, tuttavia, non avevano raccolto consensi al di fuori dell’ambito locale. Le cose avevano cominciato a girare solo con l’ingresso in formazione del cantante Phil Anselmo, proveniente da New Orleans. La verve aggressiva di Anselmo aveva definitivamente convinto i fratelli Abbott (Vincent alla batteria, “Dimebag” Darrel alla chitarra) ed il bassista Rex Brown – già impressionati dagli exploit di Metallica e Slayer – che la loro formula necessitava un’iniezione di brutalità. Miscelando le influenze originarie (dai Led Zeppelin ai Van Halen, passando per Judas Priest e ZZ Top) con la foga e la compattezza tipiche del thrash metal, i quattro si erano dedicati all’elaborazione di uno stile più aggressivo e personale. Dopo un ennesimo album autoprodotto, i nostri erano riusciti ad attirare l’attenzione di una major, la Atco/East West. Con alle spalle un budget adeguato e con Terry Date in cabina di regia, il gruppo aveva finalmente raggiunto risultati soddisfacenti: l’esordio dei Pantera su major (Cowboys from Hell, del 1990) si presenta tutt’oggi come un buon esempio di post-thrash, insolitamente groovey per i tempi e venato di sonorità e anni ’70.

Pantera: Vulgar Display of Power

Sarebbe stato il disco successivo (Vulgar Display of Power, del 1992) a cristallizzare definitivamente l’identità dei quattro, tenendo a battesimo la nascita del sottogenere noto come power groove. Per i Pantera Vulgar segna un passo avanti sotto molti punti di vista. I muri di chitarra sono – se possibile – ancor più massicci che su Cowboys, ma in compenso i passaggi strumentali evidenziano maggiore scioltezza: i quattro mostrano qui un’evidente predilezione per l’elasticità ritmica dei mid-tempos (un retaggio dei loro trascorsi hard rock), nella prospettiva di un superamento della monolitica andatura thrash metal. Anselmo mette da parte il falsetto à la Rob Halford sfoggiato su Cowboys per adottare un ruggito hard-core punk mutuato direttamente da Henry Rollins. Persino il look del frontman sembra in questa fase influenzato dal cantante dei Black Flag: testa rasata, petto nudo e tatuaggi, calzoni militari al ginocchio, converse all star. Coerentemente, su Vulgar anche i testi si fanno più concreti e scafati: rifiutando la natura romanzata delle liriche metal anni ’80, Anselmo adotta un’ottica da strada più consona alla sua indole, gettandosi a capofitto in un trip superominico in cui parole come “forza”, “rabbia” e “determinazione” circoscrivono l’ambito tematico. Una serie di concetti riassunti egregiamente dalla storica copertina, che ritrae il volto di un uomo colpito da un pugno.

Di fronte all’aggressività di Vulgar i colletti bianchi della East West avevano alzato più di un sopracciglio, osservando che all’album mancava un singolo d’impatto come Mr. Sandman (un errato riferimento al successo dei Metallica, Enter Sandman). I Pantera tuttavia non avevano ceduto alle pressioni, consci che sarebbe stato un errore svendersi come avevano visto fare ai loro idoli. E difatti, l’integrità aveva finito per pagare: a seguito degli ottimi risultati di vendita raggiunti da Vulgar, il gruppo era diventato la next-big-thing del circuito metal, raccogliendo lodi pressoché unanimi e guadagnando una credibilità artistica senza precedenti. Forti dei loro successi e meno che mai inclini ai compromessi, i quattro erano entrati nuovamente in studio. Ne sarebbero usciti con in mano una vera e propria pietra miliare, un disco talmente brutale da far impallidire il predecessore. Paradossalmente, la natura riottosa dei Pantera si sarebbe rivelata ancora una volta la loro fortuna: durante la sua prima settimana Far Beyond Driven avrebbe venduto 186.000 copie, debuttando direttamente al numero uno della classifica di Billboard. Il primo album di metal estremo in assoluto a raggiungere un risultato simile.

Pantera: La fortuna di Far Beyond Driven

La fortuna di Far Beyond Driven – tanto più impressionante se consideriamo che i Pantera non godevano all’epoca di passaggi in radio, né del supporto di MTV – evidenzia come le intuizioni del gruppo rispondessero alle esigenze di mercato meglio di qualunque strategia commerciale A&R. La corsa verso il centro che aveva tenuto impegnati i campioni del thrash al principio dei ’90 aveva anche lasciato sguarnite le estremità dello spettro hard’n’heavy, creando un vuoto che i nostri erano stati abili ad occupare. Ma non è tutto. Se infatti i quattro erano decisi a riaffermare la supremazia del metallo pesante nella sua versione dura e pura, stavano inconsapevolmente contribuendo a svecchiare il genere. Contaminando la tradizione hard rock con forme di brutalità altre (l’hard-core punk su tutte, senza tuttavia precludersi forme di sperimentazione più estreme, come vedremo in seguito) i Pantera avrebbero aperto la strada al crossover e al nu metal. Una “colpa” di cui – per inciso – non sono chiamati a rispondere, se è vero che fino alla fine i nostri rimasero sempre un gruppo di heavy metal puro.

I Texani furono inoltre gli unici artisti metal capaci di opporsi al grunge sul suo stesso terreno. I loro riff erano chiaramente debitori di Led Zeppelin e Black Sabbath, due fra i più venerati santini in quel di Seattle. Al contempo le liriche di Anselmo si concentravano prevalentemente sul personale, fornendo all’ascoltatore un punto d’osservazione privilegiato sull’universo interiore del cantante. I testi metal anni ’80 – anche laddove venivano declinati alla prima persona singolare – erano in genere rappresentativi di una tipologia di individuo, di uno stereotipo, più che di un soggetto specifico. Con Anselmo il processo di abbandono del “noi” a favore dell’ “io” completa il suo ciclo. Una condizione mai così evidente come su Far Beyond Driven, album in cui il frontman (complice l’emergere della sua dipendenza da eroina, non ancora dichiarata pubblicamente) raggiunge un grado di introspezione decisamente elevato, mostrando le prime crepe nella sua immagine di superuomo.

L’opera si apre con il brano più violento composto dai Pantera fino a quel momento, un caterpillar lanciato a velocità folle che riassume gli intenti belligeranti dei quattro fin dal titolo: Strenght Beyond Strenght. La base musicale attinge agli Slayer e all’hard-core punk per raggiungere un parossismo di tensione, che sfocia nel break in un granitico riff Sabbathiano. Anselmo si lancia in un allucinato power trip, ripercorrendo con orgoglio la parabola del gruppo: l’assenza di alternative, di un qualunque piano B praticabile (“There’s nothing / no education, no family life / to open my arms to”) ha fuso la determinazione dei quattro in un’unica, mostruosa entità (“We’ve grown into a monster / an arrognat explosive motherfuck / hard as a rock / shut like a lock”), la cui posizione di potere è ormai inconfutabile (“Be there no question / of certain strenght / know this intention / forever stronger than all”). I tre brani successivi portano il power groove di Vulgar a raggiungere la perfezione formale, evidenziando al contempo lcome il gruppo intenda evolversi in una direzione maggiormente sperimentale. Il riff portante di Becoming, ad esempio, vede Darrel fare un uso massiccio del Whammy Pedal, supportando il mostruoso groove della batteria con un suono simile al miagolio di un gatto schiacciato. Lo stesso pedale viene sfruttato con successo anche durante l’assolo, che si trasforma così in una caustica pioggia di rumore bianco.

È necessario precisare che all’epoca Dimebag era riverito dalle maggiori riviste di settore come il guitar-hero definitivo. Non era dunque scontato che il musicista si sottraesse alla luce dei riflettori, rinunciando alla possibilità di dimostrare per l’ennesima volta la sua abilità con un extended guitar solo. La scelta è parte della strategia evolutiva di Driven, volta a valorizzare le canzoni nel loro insieme a scapito dei singoli ego. Per gli stessi motivi, il contributo solista di Darrel su 5 Minutes Alone è a dir poco minimalista (una singola nota mandata in bending), e addirittura nullo su Slaughtered (per sua stessa ammissione “un unico lungo assolo” e – aggiunge chi scrive – l’epitome del power groove).

L’apice sperimentale del disco, tuttavia, viene raggiunto con Good Friends and a Bottle of Pills, una bestia rara che trascende l’heavy metal stesso, guardando piuttosto ai Big Black. La chitarra è qui totalmente destrutturata, si limita a provvedere il rumore di fondo con una sequenza casuale di scricchiolii e feedback. La sezione ritmica traccia un’incessante pattern industriale, mentre Anselmo assale l’ascoltatore con una lugubre performance di spoken word, incentrata sull’interazione fra abuso di droga e pratiche sessuali (“I fucked your girlfriend last night / while you snored and drooled I fucked your love / you were knoked out, but we were all knoked out, you know … she could have been a burn victim, an amputee, a dead body / but god damn, I wanted to fuck”).Il risultato è quanto di più disturbante inostri abbiano mai inciso su disco.

Altrove il gruppo lavora di fino sulla struttura, assemblando brani composti da sezioni molto diverse fra loro con una maestria che sfiora il progressive. Si distingue in questo senso l’epica Hard Lines, Sunken Cheeks, un mammut di ben sette minuti in cui la classica cadenza schiacciasassi dei quattro scivola a tratti nel doom di matrice sabbathiana. Il break centrale permette di apprezzare al meglio l’opera del bassista Rex Brown, mentre Dimebag ci regala un assolo struggente che non sarebbe sembrato fuori posto su November Rain dei Guns’n’Roses (!). Ma impressionano allo stesso modo anche Shedding Skin – che alterna arpeggi, palm muting rocciosi e una brusca accelerata finale – o 25 Years – dove dal riff più epico di sempre si passa ad una progressione che mostra la grazia di un trattore. Dopo due assalti all’arma bianca come Use my Third Arm e Throes of Rejection ecco giungere il brano che nessuno si aspetta: una cover dei Black Sabbath in cui il gruppo sperimenta per la prima volta la dimensione acustica. Originariamente pensata per un album tributo alla band di Birmingham, Planet Caravan vive di atmosfere lisergiche, compensando in maniera egregia il sovraccarico di decibel subito per gran parte del minutaggio e dimostrando al mondo – se mai ce ne fosse stato bisogno – che Anselmo è perfettamente in grado di cantare, quando vuole.

La maturazione del frontman sul piano vocale e lirico è un’altra delle caratteristiche che valorizzano Driven. Su Vulgar il nostro si era limitato a ruggire, mentre qui sperimenta una moltitudine di tecniche vocali differenti: dal gowling gutturale di scuola death metal ad uno shriek acutissimo, dal sussurro allo spoken word, fino al tono caldo di Planet Caravan. Una varietà funzionale ad esprimere stati d’animo molto diversi fra loro, in quello che si presenta come l’album dei Pantera più sfaccettato ed intimo dal punto di vista dei contenuti testuali. La volontà di potenza di Strenght Beyond Strenght, il muso duro di 5 Minutes Alone, così come la sparata anti-autoritaria di Use My Third Arm (che fa il paio con la cover di The Badge dei Poison Idea, incisa dal gruppo quello stesso anno per la colonna sonora di The Crow) riportano chiaramente alle tematiche di Vulgar. Ma già Becoming apre uno spiragio interessante sul passato del cantante. La hybris di Anselmo, che qui sembra ai suoi massimi livelli (“I’m becoming more than a man, more than you ever had / driven and burning, to rise beyond Jesus / I’m born again with snakes eyes / becoming Godsize”) è in realtà il frutto di un’infanzia travagliata (“A long time ago I never knew myself / then memory of shame birthed its gift / no more the small one, the weak one, the frightned one / running from beatings, deflating”).

La riflessione sulla morte di I’m Broken (“one day we all will die / a clichéd fact of life”) si spinge oltre, presentando un Anselmo sfiduciato, distrutto dal punto di vista fisico e mentale (“the lifestyle costs / look at me now / I’m broken”). A posteriori il brano è chiaramente interpretabile come un grido d’aiuto. In quello stesso periodo, infatti, il cantante cominciava a pagare le conseguenze della sua sfrenata attitudine sul palco: le contusioni che si era procurato nel corso di innumerevoli tour gli avevano permanentemente lesionato alcune vertebre. Rifiutando di sottoporsi ad un’operazione che lo avrebbe tenuto a lungo convalescente, costringendolo a venir meno ai suoi impegni col gruppo, il frontman era rapidamente sprofondato nella dipendenza da antidolorifici; il primo passo che lo avrebbe portato verso il baratro dell’eroina.
Nello stesso ambito tematico si muove Hard Lines, Sunken Cheeks, che equipara uno stile di vita distruttivo al martirio cristiano (“These hard lines and sunken cheeks are part of what the christians mean to immortalize my situation”). Non a caso il brano lascia trapelare un riferimento – nemmeno troppo velato – all’eroina stessa (“I drink all day, I smoke all day / I’ve done it all but tap the vein”). L’Anselmo dei vecchi tempi sembra momentaneamente di ritorno in Slaughtered, una disamina del cristianesimo di stampo quasi Nietzsheano (“At battle with a mass astrengent / the bond that blends the weak to the wise / it’s a safe assumption that you want to save me now / but I’ll never face castration / for your sacred sow is left slaughtered”). Ma anche in questo contesto tornano gli accenni all’eroina, vista come un segno di debolezza eppure segretamente abbracciata (“Cry for their dead but turning their head to ignore reality’s claws / knife to your wrist, syringe in your arm is your ounce of prevention”).

Altrove sono i rapporti personali ad essere passati al vaglio. Shedding Skin affronta la fine di una relazione con la metafora rettile del cambiar pelle, utilizzando toni tra il tetro (“I don’t want you to look at me while I’m shedding skin / I can’t afford for you to see what’s inside me / I’d rather shoot myself than have you watch me / I feel you’d steal my skin to try and wear me”) e il gore (“You were sticking to me like a scab / so I peeled you away and bled for days… I’ve found the guts to sever from my siamese twin”). Throes of Rejection riflette invece la frustrazione derivante dal rifiuto, con un frasario che sembra direttamente mutuato dai diari di Henry Rollins (“It’s like salt poured into a deep, infected wound / rejection / it ain’t a fucking game / my human dick to blame / a sociopathic plan / it’s feeding what I am”) e con una scansione spoken word che avrebbe reso fiero il poeta palestrato dei Black Flag. Il testo che più di ogni altro apre uno spiraglio sulla dimensione privata di Anselmo è 25 Years, un resoconto brutale del rapporto che lega il cantante al classico padre assente (“I vent my frustration at you old man / after years your ears will ear … these years of detachment have left me with demons now surfacing / but I’m becoming more than nothing… I’m shoving my life right down your throat / can I find the guts? Can I feel the heart? / Look at the ground as you choke me up / does it taste like tequila? Or falure?”). Qualcosa di simile alla coeva Better Man dei Pearl Jam, con qualche tonnellata di palle in più.
I toni cupi e la natura recalcitrante dell’album, come si è visto, avrebbero paradossalmente fruttato ai Pantera la loro prima esposizione mediatica su larga scala. Il gruppo sarebbe stato invitato quella stessa estate sul palco principale del Monsters of Rock di Castle Donington (concerto immortalato da Far Beyond Bootleg, in uscita il 6 Giugno per Rhino), la manifestazione hard’n’heavy più prestigiosa di sempre. Un evento che avrebbe aperto la strada al tour mondiale da headliner, con Sepultura e Biohazard, siglando per sempre l’ingresso dei Pantera nell’Olimpo dei grandi. Il resto, come si suol dire, è storia.
Pantera – Far Beyond Driven, XXth Anniversary Edition (Rhino, 2014)
Tracklist:
Strenght Beyond Strenght | Becoming | 5 Minutes Alone | I’m Broken | Good Friends and a Bottle of Pills | Hard Lines, Sunken Cheeks | Slaughtered | 25 Years | Shedding Skin | Use my Third Arm | Throes of Rejection | Planet Caravan

Pantera – Far Beyond Bootleg: Live From Donington ’94 (Rhino, 2014)
Tracklist:
Use my Third Arm | Walk | Strenght Beyond Strenght | Domination/Hollow | Slaughtered | Fucking Hostile | This Love | Mouth for War | Cowboys from Hell

Pantera/Poson Idea – The Badge (Rhino, 2014)
Tracklist:
The Badge (Pantera) | The Badge (Poison Idea)

Pantera sul web

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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