James Page è il vero nome di Sivu, l’artista britannico giunto al suo secondo album con Sweet Sweet Silent, pubblicato da Square Leg Records e distribuito in Italia da Goodfellas. Quattro anni fa, Page scopre di avere la la sindrome di Menière, particolare sintomatologia che provoca sordità, acufene, vertigini e una pressione crescente all’interno del labirinto auricolare.
“Ricordo perfettamente il mio primo attacco – ha avuto modo di raccontare – le mie orecchie hanno cominciato a fischiare, una cosa terribile e che arrivava dal niente“.
Un calvario per un musicista, tanto da costringerlo a dichiarare in più di un’occasione che questo suo secondo lavoro, potrebbe essere l’ultimo, per l’incertezza che la malattia può causare nel suo continuo andarsene e negli attacchi improvvisi.
James ha lanciato tre video in breve successione per promuovere l’album, frutto di un songwriting sempre più sottile e sofferto, accompagnato da un piano a metà tra soffuse atmosfere jazzin’, ambient e una declinazione folk molto personale.
Il primo, Childhood House è diretto da Sivu stesso, già dietro l’obiettivo per alcuni dei suoi video (I Hold e The Nile, rispettivamente del 2013 e del 2015). È una clip realizzata con un approccio “mixed media”, mettendo insieme fotografie, scatti da instagram, filmati in formato ridotto, per raccontare una reverie della psiche, vero e proprio ritorno ai luoghi dell’infanzia.
Sivu – Childhood House, video ufficiale: Dir – Sivu
Realizzato con grande sensibilità e senso dello spazio ha un approccio solo apparentemente diverso dal secondo video lanciato per promuovere l’album, questa volta diretto da Matthew Robins, talentuoso animatore, tra stop motion e puppet animation, già attivo per artisti come Phil Collins, Tori Amos e per il National Theatre. Il video di Lonesome replica quel senso di isolamento presente anche nella clip diretta da Sivu e in tutto il suo album, scegliendo la via del racconto per l’infanzia e un approccio monodimensionale e illustrativo applicato alla stessa tecnica d’animazione
Sivu – Lonesome – video ufficiale. Dir: Matthew Robins
Il terzo video lanciato per promuovere l’album è forse il più pregnante. È Pete Fullarton ad occuparsi della title track e Sweet Sweet Silent viene realizzato utilizzando vari formati a bassa definizione, come l’Hi8, il VHS e la PXW-FS7, erede del vecchio Super 16, il formato prediletto dai documentaristi. Fularton, montatore e motion grapher di talento, affronta la malattia che ha sconvolto la vita di Page in forma simbolica. Introdotto da una sezione documentaristica, dove lo stesso Sivu racconta la scomparsa, sul piano auditivo, di quello che ha sempre amato, con l’orizzonte del silenzio che si fa sempre più concreto, visualizza a poco a poco un processo degenerativo dell’immagine, sottoposta ad una lenta corruzione fino al rumore bianco. Intervallato da segmenti “mnestici”, che utilizzano frammenti televisivi, found footage e vecchi inserti televisivi, mostra il processo di smagnetizzazione come se fosse un’inesorabile cancellazione della memoria. L’occhio di Sivu, azzurrissimo e ad alta definizione, viene a poco a poco assorbito da questo vortice elettrostatico.
Sivu – Sweet Sweet Silent – video ufficiale. Dir: Pete Fullarton
Sempre più importante il supporto dei videoclip come sostegno narrativo e concettuale ad un’idea. Le possibilità di diffusione della rete e l’immaterialità dei supporti hanno favorito un transito dell’aspetto più squisitamente musicale nel campo delle arti visuali, adesso in dialogo costante con la musica, le liriche o semplicemente un’idea di fondo.
I tre video di Sivu per “Sweet Sweet Silent” in particolare, comunicano un sentimento, un’idea e alcune sollecitazioni che già attraversano le sue canzoni, ma allo stesso tempo introducono un “concept” sulla stessa immagine video, dove la rimediazione di formati desueti e ridotti viene assorbita da un vortice digitale e ricombinata in una nuova forma. Distanza e qualità tattili si scambiano di posizione; i video di Sivu si possono toccare proprio nel momento in cui il gesto diventa opaco e prossimo alla dissoluzione. Gli slacci, le interferenze, la commistione dei materiali, il salto da un media all’altro e il rumore bianco, diventano “materia” di un nuovo discorso sensoriale che ci tende la mano da un’altra dimensione. Ciò che eravamo, ciò che vedevamo.