Notevole balzo in avanti per gli Unknown Mortal Orchestra. Rispetto al primo e al secondo episodio dell’avventura a bassa definizione inaugurata da Ruban Nielson e soci, i neozelandesi abbandonano quell’estetica approssimativa che oltre a sporcare volontariamente l’esperienza d’ascolto, relegava tutto l’aspetto compositivo a qualcosa che non oltrepassava il bozzetto, per non dire l’abbozzo.
Con Multi-Love i nostri sembrano aver trovato una dimensione più convincente, non solo perché l’album suona finalmente meglio sul piano della registrazione superando di netto quell’approccio “bandcamp” a rischio dissipazione amatoriale, ma soprattutto per il modo in cui la tendenza psych che caratterizzava una passione troppo nerd per essere considerata seriamente si trasforma in un interessante ibrido lanciato verso qualcosa di finalmente nuovo.
Il funk è più centrale che in passato e dopo un incipit come la title track, vero e proprio specchio per le allodole con quell’harpsichord e tutto il campionario di chincaglierie tra sixties e seventies a ricordarci la vicinanza con certo pop psicotropo, incluso il suono di un sitar sintetico, si viene completamente decentrati dal giochino retrò con una rilettura delirante di queste stesse influenze, riviste attraverso la lente di un funk à la Prince che rivela ovviamente una fonte comune: quella Zappiana.
Con la solarità contagiosa di Sly and The Family Stone i nostri si inventano una terra di mezzo tra pop e disco senza rinunciare alla malinconia visionaria della realtà alterata. È la strada giusta e se non diventerà un marchio di fabbrica troppo stringente potrebbe riservare sorprese notevoli per il futuro. Al momento è il disco che consigliamo per quest’estate torrida.