giovedì, Novembre 21, 2024

Videoclip: testo, segno, movimento e ritmo. Animazione e promozione musicale

Uno dei primi esempi legati all’immagine come veicolo promozionale della musica e collocato poco prima dell’avvento del cinema sonoro è la serie Song Car-Tunes prodotta dai fratelli Max e Dave Fleischer che tra il 1924 e il 1927 lanciano un formato costituito da brevi episodi di circa tre minuti. La tradizione di riferimento è quella della canzone illustrata della fine dell’ottocento, dove all’esecuzione live veniva sovrapposta la proiezione narrativa di diapositive mediante Stereopticon, un dispositivo che consentiva il passaggio da un’immagine all’altra per sviluppare la progressione del racconto. In questo caso si perfeziona la relazione tra immagine e partecipazione di massa attraverso la strategia del “follow the bouncing ball“, prodromo del karaoke che permetteva al pubblico di cantare la canzone seguendo una pallina animata mentre rimbalzava ritmicamente sulle liriche del brano. Assolutamente pionieristica nel mettere insieme immagini e musica, la serie dei fratelli Fleischer anticipa una consuetudine sfruttatissima negli anni appena successivi a “The Jazz Singer” di Alan Crosland.

Ogni Song Car-tune cominciava con Koko il Clown, personaggio già codificato dai Fleischer per la serie “out of the inkwell“, intento a disegnare un quartetto di musicisti sottoposto a successiva animazione. I musicanti, guidati dal Clown, si recavano quindi presso un teatro dove Koko mostrava al pubblico un cartello con tutti i dettagli della canzone, dando il via al rituale. La valenza fortemente metalinguistica della serie Song Car-Tunes, studiata per la proiezione nei teatri, rimane legata alla visualizzazione del suono in termini di forma, movimento e ritmo, anticipando in un certo senso la prassi dei cosiddetti lyric video, di cui Sign O’ The Times di Bill Konersman, nei termini di una storia industriale del videoclip, rimane uno degli esempi più specifici dell’era catodica.

Song Car-tune – tramp, tramp, tramp

Un anno dopo il seminale St. Louis Blues, il Jazz Movie di Dudley Murphy interpretato da Bessie Smith, Leon Schlesinger produce le Spooney Melodies, brevi film di cinque minuti tra performance live ed effetti ottici desunti dal cinema delle avanguardie, con influenze marcatamente art deco. L’esibizione del performer è al centro, mentre gli effetti ottici seguono in qualche modo la linea anti-narrativa del brano mantenendo un rapporto solo apparente con le sinfonie visive di Germaine Dulac, rispetto alle quali viene seguita una tendenza astrattamente visionaria e decorativa, in un susseguirsi di mascherini, tendine, cornici dell’immagine. La serie era costituita probabilmente da cinque episodi di cui se ne conserva solamente uno, viene sostituita presto dalla più nota Merrie Melodies, prodotta dallo stesso Schlesinger,  nata in parallelo alle Looney Tunes. Entrambe in realtà nascono allo scopo di veicolare in forma promozionale la musica degli archivi Warner Bros Recordings collocandosi come vere e proprie antesignane del video musicale. Oltre alla destinazione commerciale, le Spooney Melodies risultano già codificate anche in termini di durata. L’unico esempio conservato si intitola “Crying For The Carolines“, brano eseguito da Milton Charles.

Spooney Melodies – 01 -Crying For The Carolines (Milton Charles)

Le Screen Songs sono la continuazione delle pionieristiche Song Car-Tunes. Vengono lanciate sempre da Max Fleischer tra la fine degli anni trenta e il 1938 grazie ad un nuovo contratto con la Paramount e alla sincronizzazione sonora della Western Electric. Al di là del potenziamento a colori operato successivamente dai successori dei Fleischer Studios, ovvero i Famous Studios, quello che è interessante è l’evoluzione del formato in direzione più esplicitamente promozionale. Pur mantenendo l’effetto “bouncing ball” è la posizione centrale e interludica del performer in ” lip sync” a fare da catalizzatore nell’intera economia del filmato, mentre la prima e la terza parte sviluppano un corto d’animazione più tradizionale la cui vita scaturisce dal testo del brano. 

Screen Song (1932) – Time on My Hands (featuring Ethel Merman)

Sempre nello stesso periodo Fleischer lancia i Talkartoons insieme al terzo fratello, Lou, grande appassionato di musica. Sviluppati sempre in seno alla Paramount, portano avanti la sperimentazione delle Song Car-tunes e delle Screen Songs confermando la centralità della musica come nei primi episodi delle Merrie Melodies. Oltre alla ennesima parodia delle Silly Simphony Disneyane (Lady Play Your Mandolin, primo episodio delle Merrie Melodies, ma anche Sinkin’ in the bathtub, prima Looney tune, lo sono esplicitamente) la relazione con il brano viene rafforzata dall’inserimento di riferimenti performativi più marcati. Boop-Oop-a-Doop per esempio colloca in posizione centrale “Sweet Betty” canzone che avrà un significato tematico per l’intera serie di Betty Boop,  mentre Crazy Town  introduce momenti di danza più realistici grazie all’utilizzo del rotoscopio. E se Swing You Sinners! include una caricatura del comico Yiddish Monroe Silver è il giustamente seminale Minnie the Moocher a rappresentare un esempio rivoluzionario che in poco meno di otto minuti sintetizza tutte le intuizioni di Fleischer con i Jazz Movies degli stessi anni. Il brano è introdotto dalla performance live action di Cab Calloway per poi trasformarsi nei cinque minuti centrali del film attraverso i movimenti realizzati con il rotoscopio che ricalca, fotogramma dopo forogramma, quelli dello stesso performer qui rappresentato da un fantasma-tricheco. Oltre alle relazioni commerciali tra i Fleischer e la Paramount attraverso i musicisti Jazz impiegati da quest’ultima nei Talkartoons, si evolve il linguaggio delle precedenti sperimentazioni in una direzione più esplicitamente promozionale che interpreta il brano con una ricchissima fusione di tecniche e stili.

Talkartoon – Minnie The Moocher (11 Marzo 1932)

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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