Chiara Castello e Kole Laca sono i 2Pigeons, autori di “Land”, uno dei debutti più interessanti dell’ultimo periodo grazie al suo approccio molto particolare all’elettronica, recensito da questa parte su Indie-eye Network. Li abbiamo incontrati prima del loro concerto al Tambourine di Seregno, nel cuore della Brianza, per capire da dove arriva la loro musica.
Foto-live di Marta Rossetti, Raffaele Gaioni, Claudia Fabris
La prima domanda è quasi d’obbligo per un gruppo che arriva al primo disco. Da dove arrivano i 2Pigeons? Cosa li ha spinti a creare questo progetto e a portarlo avanti fino a “Land”?
C: Noi ci siamo incontrati un anno e mezzo fa; entrambi venivamo da due situazioni di band rock e entrambi avevamo voglia di provare a sperimentare qualcosa di diverso. Ci siamo incontrati e ci siamo detti “con gli strumenti che abbiamo che cosa possiamo fare?”. Subito ci siamo messi a provare e a scrivere; in un mese da quando ci siamo conosciuti abbiamo provato e scritto il primo EP, che è uscito ormai quasi un anno e mezzo fa. Da lì poi è partito il tutto, nel senso che dopo l’uscita dell’EP abbiamo cominciato a girare per i primi concerti, che sono stati seguiti da tutto il resto.
Per voi è importante anche l’iconografia; impersonate infatti l’equipaggio di una navicella sovietica dispersa nello spazio, che ci racconta quello che incontra nel suo viaggio. Come è nata l’idea di richiamarsi proprio a quel concept? Avete nostalgia dei CCCP anche voi?
K: in realtà deriva dal fatto che io sono albanese. Ho vissuto fino a vent’anni in Albania, quindi l’iconografia sovietica, che mi piaccia o meno, fa parte del mio background, per forza. È un’iconografia che ho sempre visto, da quando sono nato, in maniera anche pesante. Richiamarlo qui, in questa situazione, era una cosa carina e anche un tornare a certe cose che ho vissuto. Inoltre musicalmente c’è un incontro di culture, gusti, suoni che secondo noi richiamavano un immaginario dell’est europeo.
C: proprio da questo è poi nata l’idea di enfatizzare questo aspetto e di farne la nostra immagine.
Dall’ascolto di “Land” emergono due poli principali che caratterizzano la vostra musica: la voce di Chiara e la sperimentazione sull’elettronica, che è vista come un mezzo per aprirsi ad ogni genere possibile. è un’interpretazione che condividete? Ci sono altri elementi da mettere sullo stesso piano dei due citati?
K: l’interpretazione è giusta, giustissima. La sperimentazione, ricollegandosi alla prima domanda tra l’altro, è funzionale al fatto che siamo in due e vorremmo proporci come una band. Ci siamo posti proprio l’obbligo: “Noi siamo una band! Siamo in due ma siamo una band”. Non volevamo fare il duo piano e voce, che era la cosa più semplice che potevamo fare; né, dall’altra parte, fare il duo di sperimentazione dove si va a fare cose estreme. Noi stavamo già sperimentando infatti, la parte di sperimentazione nasceva già di per sé. Il difficile era coniugare la voce di Chiara con queste cose e renderle accessibili, fruibili come una cosa unica. Noi speriamo infatti di essere riusciti a unire le due parti, a farle diventare una cosa unica.
Nella recensione apparsa sul nostro network si sottolinea la presenza di un’anima soul, che rende la vostra musica vibrante e creativa all’interno di una corazza di elettronico metallo. Cosa pensate di questa definizione?
C: a me piace che si percepisca questa cosa. Quando si parla di musica elettronica di solito ci si ricollega a qualcosa legato alle macchine, a qualcosa di freddo. A me piace molto invece l’idea di fare elettronica che abbia un anima e in cui si percepisca l’aspetto umano. Questo viene anche dalla mia provenienza, dai miei ascolti, ed è molto bello secondo me il fatto di legare queste due cose, di fare elettronica che però vada oltre la freddezza ed acquisti un po’ di calore umano, che in generi come il soul invece spicca particolarmente.
K: per quanto riguarda la “corazza di elettronico metallo”, che è molto bella come definizione, bisogna dire che, volendo fare comunque un’elettronica umana, nel disco ci sono certe cose che si potrebbero definire come errori, quasi. Li abbiamo lasciati proprio per far capire che c’è questa parte umana anche nell’elettronica. Ci sono cose che non sono esattamente perfette come avrebbero dovuto essere, ma le abbiamo lasciate così, fanno parte del gioco. Non abbiamo cercato di nasconderle, anche perché il disco è abbastanza vicino a come facciamo i concerti; abbiamo aggiunto pochissime cose.
C: questo di conseguenza era un limite, ma anche uno stimolo. Come a dire che noi scriviamo sulla base di quello che poi possiamo realmente fare dal vivo.
K: sicuramente non siamo gli unici a rifare i pezzi su disco come poi vengono eseguiti dal vivo; per gruppi di quattro o cinque persone è più facile. Per noi il fatto di essere in due lo fa diventare un po’ strano e anche difficile, devi trovare delle soluzioni e risolvere in qualche modo i problemi che sorgono. Noi siamo coscientissimi che quando uno ascolta il disco, lo mette su e non gli interessa se siamo in due o in venti; però abbiamo voluto mantenere questa cosa.