Assistere ad un’esibizione di Caetano Veloso significa confrontarsi con una leggenda e la mera prospettiva scatenava nel sottoscritto un misto di euforia e soggezione. Il cantautore brasiliano detiene il merito di aver condiviso con Gilberto Gil la paternità del movimento Tropicália, di aver pagato il proprio attivismo politico con l’esilio a Londra nei primi anni settanta, di aver narrato la miseria e la solitudine in maniera non retorica, senza mai perdere di vista la speranza nel domani. Ex studente di filosofia, uomo dallo spessore culturale impressionante, si esprime fluentemente in Portoghese, Spagnolo, Inglese e Italiano. All’apparenza è un signore minuto, timido e affabile al tempo stesso, tanto che risulterebbe amabile anche se non fosse lo straordinario artista che è. Oggi come ieri, ci stupisce con brani raffinati, poetici e straordinariamente ispirati.
La sua ultima fatica Zii e Zie – il cui tour promozionale europeo parte proprio da qui – è un album scritto con in mente il trio di giovani musicisti che, fin dal 2006, lo accompagnano in studio e dal vivo. Un’opera pervasa da atmosfere elettriche, felice risultato dell’apertura alle sonorità proprie del figlio Moreno Veloso (il quale, non a caso, ha raccomandato personalmente al padre i musicisti). I brani, specie nella loro veste live, sono potenti, graffianti e si prestano spesso a psichedeliche digressioni strumentali. Le basi ritmiche di Marcelo Callado (batteria) e Ricardo Dias Gomes (basso e Fender Rhodes) coniugano samba, bossa e funky, lasciando ampio spazio alle acide divagazioni del chitarrista Pedro Sá. Caetano corre e salta continuamente da una parte all’altra del palco, sembra non avvertire il peso dei suoi sessantasette anni. L’interpretazione dei vecchi successi scatena l’entusiasmo dei brasiliani asserragliati nelle prime file, che cantano in coro ogni singola parola.
La venerazione e l’affetto di cui l’artista gode presso il proprio pubblico, e in particolar modo presso i propri compatrioti, è quasi tangibile in questa sede. Quando, in perfetto italiano, il cantautore annuncia “ho scritto questa canzone per mia sorella, come un grido di aiuto, quando ero a Londra e mi sentivo solo e perso” e partono le prime note di Maria Bethânia mi sfiora la comprensione del significato sottinteso dalla parola saudade. Persi nel nostro eurocentrismo, dimentichiamo spesso il contributo fondamentale con cui tanti paesi a noi lontani hanno arricchito il bagaglio culturale mondiale, un contributo che nello specifico giustifica pienamente il misto di orgoglio e nostalgia che lega i brasiliani alla propria terra. Non mi sento retorico nell’affermare che stasera sono fortunato se posso assistere a questa piccola, laica cerimonia. Caetano intanto si è posizionato sul deltaplano che adorna il palcoscenico: sembra suggerirci che rimarrà libero di veleggiare dove vuole ancora a lungo. Chapeau.