È ‘this blue world’ a segnare l’ingresso degli Elbow sulla scena della cavea del nuovo Teatro dell’opera di Firenze, opener dell’ultimo ‘The Take Off and Landing of Everything’ il brano è il racconto intimo di Guy Garvey sulla conclusione di una lunga e importante storia, e rimane sullo sfondo, come introduzione lieve e malinconica che consente alla band di sistemarsi. È un’indicazione che in un certo senso orienta l’andamento della serata, legando quasi integralmente la setlist allo spirito dell’ultimo lavoro, quello più essenziale e intimo di tutta la carriera degli Elbow, con una selezione che arriverà indietro fino ad un recupero di ‘Asleep in The back’, ma scegliendo ‘scattered Black and whites’ il brano più minimale del loro esordio, così simile alla soulfulness crepuscolare di ‘New York morning’, con il piano che in entrambi i casi scandisce la circolarità del tempo. Ma il vero inizio è affidato a ‘Charge’ dove Garvey guarda se stesso come uomo fuori dal secolo corrente, e tra spleen e grande generositá sará proprio la sua incredibile capacitá di amare ad arrivare dritta al cuore di chi guarda; con la forza di una vecchia quercia e la capacitá di comunicare simile a quella di un predicatore piú vicino alla terra che al cielo, si siederá accanto agli spettatori, si preoccuperá di capire la provenienza di tutti quanti, ballerá in mezzo alla gente durante i momenti piú innodici, suonerá due rullanti nel momento piú elettrico di tutto il concerto, quello dove esplode ‘Ground for divorce’ da ‘The seldom seen kid’, l’album più omaggiato durante la serata insieme all’ultimo, e che segna probabilmente il momento apicale del concerto con una bellissima versione di ‘Mirrorball’ dove lo spazio della cavea si illumina come un dancefloor adatto ad un abbraccio intimo. È un’ipnosi alcolica e comunitaria del tutto speciale quella che si recepisce, lo stesso Garvey dice di aver eseguito un concerto senza bere solamente una volta, un disastro secondo lui, perché la sua voce aveva perso per un attimo il calore di sempre; e lo spirito che chiude il concerto è proprio questo, tra una sbornia malinconica e un forte attaccamento alla vita; il secondo brano dell’encore è ‘one day like this’, che Garvey canta per un bel pezzo in mezzo alla gente, facendosi abbracciare mentre ripete insieme alla folla ‘so throw those curtains wide! / One day like this a year would see me right’