Il Diavolaccio è il nuovo spettacolo di Marco Parente che, in un certo qual modo, prosegue il discorso iniziato con “Il rumore dei libri”.
La differenza è che questa volta il personaggio narrato, il Diavolaccio, è anche narrante, ed ha una sua personale storia da raccontare. Uno spettacolo in cui si riflette e si gioca sul destino e le azioni: il Diavolaccio è colui che nei secoli ha accumulato una ricca collezione di anime ed ha potuto godere del diritto al gioco, ‘quel momento grandioso di invidiabili regole e sacro abbandono’. Complici di questo sacro gioco: il suono, il movimento, la luce e gli oggetti calzanti.
Il Diavolaccio sarà presentato in anteprima nazionale ad Ancona, nell’ambito della mostra ‘ARRIVI E PARTENZE EUROPA, ARTISTI UNDER 35’, il 26 e 27 Novembre al Teatro Studio La Mole presso la Mole Vanvitelliana, la fortezza settecentesca che si specchia sull’acqua all’ingresso del porto e del centro storico della città. Lo spettacolo è prodotto da Associazione Fondo Mole, Ancona.
Scampato alle apprensioni del Padre/Madre che non lo lasciavano annegare in una pozzanghera, decide, il diavolaccio, di giocarsi a “testa o croce”.
Sfortuna vuole che esca (di)testa, ritrovandosi così caduto nella parte più responsabile e bassa del “noi”. E i giochi son fatti: da una parte il diavolaccio, destinato e condannato all’esser sempre presente, seppur in ritardo, nei dettagli/misfatti del tempo; dall’altra la croce, devota all’assenza, quindi degna delle nostre più mentite attenzioni. Proprio perché assente.
In questo “il Diavolaccio” tutta la nostra concertazione, devozione e giuoco viscerale, sarà rivolta soprattutto al primo dei due fattacci; con occhio particolare all’ascolto del gesto fuori tempo, in ritardo, impacciato. Curioso costatare, come già anche nella tradizione popolare raccontata nelle fiabe russe, la figura del povero diavolo ne esca sempre bastonata, ingenua, quasi pura oserei dire, beffata dalla storia stessa sulla quale inciampa di continuo come in una moviola perenne di luoghi comuni.
Ma in questo ingombrante imbarazzo il diavolaccio sembra essere l’unico ad arrossire. Senza tuttavia rinunziare a perseverare (diabolicamente parlando – s’intende) nei suoi aborti alla vita, che proprio nell’atto del parto mostrano, evidentemente, il suo inciampo nel mondo reale; a disagio con la luce ma soprattutto con la prima donna, balbuziente in amore proprio perché – dell’amore, non ne ha mai conosciuto la madre.
Non di meno, nel suo diabolico perseverare, ha accumulato nei secoli, una ricca collezione d’anime, acquistate a non poco prezzo nel mercatino della storia. E cos’è che ha
acquistato il diavolaccio nei secoli, se non il diritto al “gioco”, quel momento grandioso di invidiabili regole e sacro abbandono. Ed è solo – dando per – scontato questo paradosso del bene a braccetto col male, che si può continuare a seguirlo, questo gioco; con eleganza, come un bacio a volte ingenuo e puro, altre malvagio. E malgrado i nostri modi soldateschi nel tenerli rigorosamente divisi, il bene dal male, dalla spremuta dei due, ovvero dalla loro masturbazione, prende forma “l’Omino Patologico” – l’arte, forse?
Una sorta di oggetto/insetto kafkiano a cinque zampe, calzate – con la quinta al posto della
testa.
Quella stessa testa che all’inizio di questa storiella è toccata proprio al diavolaccio, giocandosi a testa o croce.