Il tripudio dei mostri sacri e l’incantesimo della nuova leva. Ecco una sintesi azzardata dei primi due giorni dello sPAZIALE festival di Torino. Giunto ormai alla sua decima edizione, sPAZIALE si riconferma una delle realtà più interessanti di casa nostra, con una programmazione variegata che ha saputo portare sul palco grandi nomi e al contempo giocare d’anticipo su alcuni best new acts, come dimostrano queste giornate d’apertura, sulle quali incombe il presagio del temporale estivo e che invece regalano due indie-notti stellate ad alto tasso di umidità. I Mogwai tornano a Torino dopo cinque anni dalla loro ultima esibizione allo Spazio 211 e radunano per la loro terza data estiva in Italia una folta schiera di adepti, estimatori di quel loud-quiet-loud e del loro post-rock sui generis che dal 1997 all’ultimo Hardcore Will Never Die, But You Will di strada ne ha macinata a suon di glorie. Le aspettative sono dunque molto alte e per i neofiti, ad occhio e croce ben pochi, si preannunciano quasi due ore di grande intensità. Come da rito la gran parte della setlist è dominata dall’ultimo disco, cui è affidata anche l’apertura con White Noise e Rano Pano. Le gloriose variazioni della prima, la cui atmosfera ingressiva stimola da subito un non so che d’impazienza per il seguito, cedono il passo alla spessa barriera della seconda, tanto sonora quanto visiva, con Braithwaite e gli altri tre chitarristi schierati uno a fianco all’altro a lavorare quell’aspro riff fino alla liberatoria distorsione finale: il muro di chitarre quasi a bordo palco, che torna più avanti con San Pedro, oltre ad essere uno dei pochi momenti di vera interazione tra i membri della band, resta una delle immagini più nitide dell’intera performance. Il piano reznoriano di Barry Burns introduce I’m Jim Morrison, I’m Dead, primo di due recuperi dal penultimo The Hawk is Howling. Il pubblico accoglie il crescendo con un’ovazione, la stessa che dopo il tripudio dell’impeccabile Death Rays, sostiene l’intro di chitarra di Killing All The Flies, dal vivo più che mai saggio delle qualità alchemiche del gruppo, qui alle prese con un mood ottundente, complici le dilatazioni del vocoder, che torna di lì a poco con la bellissima Hunted By A Freak. Mood che viene interrotto solo momentaneamente dalla nevrastenica San Pedro, un tumulto liberatorio dominato da batteria e basso, che ci distoglie tout court dalle immagini proiettate non-stop sullo sfondo (geometrie varie, vedute di città, bagliori di luce) e restituisce, a chi la stava aspettando, una vibrazione marcatamente più rock. Dopo l’ipnotica corsa motorik di Mexican Grand Prix il primo vero crowd pleaser è New Paths to Helicon, Pt 1, solo Helicon 1 per gli habitué, che vecchia di quattordici anni, si riconferma un classico delle esibizioni live del gruppo. Nel bel mezzo dell’esplosione noise che lascia al basso il compito di chiudere il pezzo, c’è spazio anche per qualche risata tra i membri della band. Il folgorante finale affidato a Batcat tuona virulento e sovrasta la folla. Ma per l’encore i Mogwai hanno ancora molto in serbo, una splendida Auto Rock, con Cummings a prendere d’assalto la batteria, e i sedici, vertiginosi minuti di Mogwai Fear Satan, gli stessi con cui chiudeva il loro primo disco, Mogwai Young Team. Il lungo dipanarsi finale di noise e feedback coincide con l’uscita finale, uno ad uno, dei musicisti, per ultimo Braithwaite, a terra per quasi tutta la seconda metà del brano, che lascia sul palco lo strumento a prolungare di qualche secondo l’effetto. L’immagine del palco vuoto, le urla del pubblico e un tecnico che ammazza il feed. Uno strappo necessario e finisce l’apocalisse.