Primo album registrato in collaborazione con il nuovo batterista Robi Gonzales, Transfixiation è l’ultimo lavoro della band newyorkese A Place to Bury Strangers. Un tritacarne cybernoise e cyberpunk, così si potrebbe descrivere il profilo di Transfixiation. Undici tracce in costante salita che si pongono sin dall’inizio dell’album, aggressive e poco ospitali, raccogliendo e continuando a mischiare la migliore tradizione a metà fra shoegaze e post punk industrial. Quello che ne risulta è un percorso nichilistico che si snoda fra meccanismi cerebrali, bruschi risvegli nel cuore della notte e uno spudorato intento di voler incutere timore e sgomento.
E se Supermaster strizza l’occhio ai Joy Division ricalcando non poco molti passaggi di Closer, Straight ospita un incontro fra noise e garage che si incattivisce con punte stoner in Fill the Void. Prendete la lezione dei Jesus and Mary Chain, spogliate ogni traccia di quel dream-pop lattiginoso e accogliente che aleggiava in Psychocandy, sostituite il ripetersi lacerante e cruento della batteria e allora capirete la sintesi malvagia dei A Place to Bury Strangers nel loro percorso di decostruzione e smantellamento sistematico del concetto di melodia, residuo cosi sfuggente da rivelarsi inutile.
Ad eccezione del guaito compiaciuto in Love High, i momenti di quiete all’interno dell’album sono davvero pochi. Ma in fondo è questa la marca dei A Place to Bury Strangers, un connotato espresso con tale chiarezza e ricercatezza da apparire posticcio. Transfixiation è esattamente la creatura frigida e poco emozionale che prendeva forma nella mente dei suoi creatori; non un album di rinnovamento, non un album sperimentale o tanto meno un disco della buonanotte. Anzi, alla fine dell’algido percorso nelle pieghe di Transfixiation, verrebbe da chiedersi se per caso gli A Place to Bury Strangers sognano pecore elettriche.