sabato, Novembre 23, 2024

A Winged Victory For The Sullen – la musica è cambiata: la foto-intervista esclusiva

Negli anni Settanta si sarebbe parlato di super-gruppo o, meglio, di super-duo. Il pedigree di Adam Wiltzie e di Dustin O’Halloran è infatti di altissimo livello: con gli Stars Of The Lid e con i Devics hanno infatti contribuito a tracciare le coordinate del suono del nuovo millennio. Ora i due hanno unito le forze, battezzandosi A Winged Victory For The Sullen, e non perdendo la voglia di sperimentare con la musica e di cercare di coglierne l’essenza e la bellezza. Dopo il primo eponimo album del 2011 ora il duo torna a pubblicare un disco, Atomos, che raccoglie le musiche che Adam e Dustin hanno composto per una piece di danza contemporanea della compagnia di Wayne McGregor. Abbiamo incontrato i due in occasione del loro passaggio promozionale da Milano, per farci raccontare meglio la storia di Atomos e capire come e perché fanno ancora musica così bella, nell’attesa di vederli dal vivo a fine novembre a Bologna, per una data che si annuncia già come imperdibile. Ecco cosa ci hanno rivelato. [Le foto dell’articolo sono di Francesca Pontiggia ]

Atomos è nato come colonna sonora per una piece di danza di Wayne McGregor. Come è nato il progetto? E come avete collaborato con la compagnia di danza?
A: la premiere è stata un anno fa, più o meno in questi giorni. Abbiamo avuto a disposizione quattro mesi prima di essa. Abbiamo iniziato circa a giugno del 2013, mentre sei mesi prima, intorno a Natale 2012, avevamo iniziato a parlare con Wayne, che ci chiedeva di lavorare assieme perché era un grande fan del nostro primo disco. Gli sarebbe piaciuto comporre una nuova piece sulla nostra musica, mentre noi volevamo provare a fare qualcosa di nuovo. Noi non avevamo mai avuto a che fare con il mondo della danza, non ci avevamo mai lavorato, era un’opportunità per noi di fare qualcosa con cui non avevamo certezze, con cui non avevamo nessuna connessione. È soprattutto la curiosità ad averci spinto. Per quanto invece riguarda la collaborazione con i ballerini, in pratica non è realmente avvenuta. Wayne ci ha dato un periodo di tempo per iniziare il processo, preferiva comporre lui lo spettacolo sulle nostre musica piuttosto che il contrario. Abbiamo avuto circa sei settimane per sviluppare la musica, dopodiché siamo andati a trovare Wayne e i ballerini e li abbiamo visti danzare sulla nostra musica, ed è stato veramente un momento bellissimo per noi.
D: è stata una sorpresa, non immaginavamo come potessero danzare sulla nostra musica.

Abbiamo raccontato la genesi di Atomos, che ora però ha una destinazione diversa, quella dell’album. Credo abbiate pensato al “problema” principale che si presenta in queste occasioni, che è la vita della musica senza il suo complemento originario, che in questo caso era la danza. Come avete affrontato questo fatto?
D: quando si danza, la musica viene per prima. Non abbiamo cambiato il modo in cui facciamo musica, se non perché sapevamo che c’era questo elemento sullo sfondo, ma in realtà abbiamo composto senza aver visto nulla della danza, per cui abbiamo scritto come se stessimo scrivendo un disco. Solitamente quando scriviamo ci prendiamo tutto il tempo e lo spazio che ci servono, non abbiamo confini. In questo caso abbiamo condensato il tutto nei tempi richiesti per lo spettacolo, ma è veramente l’unica differenza che c’è stata.

Infatti ho letto che avete cambiato il modo di lavorare, rendendolo più semplice e veloce, mentre per il primo disco avete impiegato un paio d’anni. Cosa è cambiato esattamente?
D: in quel caso non abbiamo passato due interi anni a lavorare al disco, ci vedevamo ogni tanto, ci prendevamo tutto il tempo che volevamo
A: sì, non avevamo piani, non pensavamo “stiamo facendo il primo disco”, eravamo soltanto due amici che si stavano conoscendo e che creavano dei suoni assieme. Poi ci siamo trovati a fare un disco, ma senza specifiche date o tempi definiti. Questa volta invece c’era una deadline.

Quindi avevate semplicemente bisogno di una deadline?
A: non ne avevamo bisogno, c’era!
D: esattamente, le quattro serate dello spettacolo erano già sold out prima che noi avessimo scritto una sola nota, quindi a quel punto dovevamo farcela per forza!

Usando definizioni semplici, questo disco in confronto al precedente mi sembra più neo-classico che ambient, ci sono melodie disegnate più nettamente dagli archi e dal piano ad esempio. Che ne pensate?
A: per quanto riguarda gli archi è sicuramente così, ci sono più melodie fatte con gli archi
D: credo sia anche l’influenza della danza, abbiamo creato movimento con gli archi, volevamo creare delle variazioni. La danza ha bisogno di dinamiche, lo spettacolo dura 70 minuti e serve qualcosa che dia movimento, che dia modo a chi danza di creare qualcosa, di variare. Abbiamo pensato di farlo con gli archi, di sperimentare così.

In aprile avete fatto uscire un EP, Atomos VII, come anticipazione dell’album. Nell’EP c’era anche una reinterpretazione del brano assieme a Ben Frost. Avete intenzione di fare lo stesso con altri brani o di fare remix e cose del genere?
A: non abbiamo piani a riguardo. Ben Frost è stato coinvolto perché era collegato in qualche modo al progetto, avendo lavorato alla precedente piece di Wayne. Ci è dunque sembrato naturale coinvolgerlo in questa reinterpretazione.

L’album è uscito per Erased Tapes e Kranky. Pensate di condividere qualcosa con altri musicisti di queste etichette, per esempio Peter Broderick, Nils Frahm? O in altre parole, sentite di far parte di una scena neo-classica o ambient?
A: non penso. Ho sicuramente dei rapporti con molte persone della Kranky perché siamo cresciuti facendo musica assieme. Quando ho iniziato con gli Stars Of The Lid, ormai molti anni fa, uscì un articolo su The Wire intitolato Back To The Future, l’articolo in cui fu coniato il termine post-rock. Noi eravamo citati nell’articolo assieme ai Tortoise e ai Labradford per esempio. Quindi per i sette-otto anni successivi tutti ci chiedevano “come vi sentite a essere parte di una band post-rock?” Ora invece la domanda è “come vi sentite a essere una band neo-classica?” Quando me lo chiedono mi immagino di vivere in una grande casa assieme a Nils Frahm e a tutti gli altri. Credo che sia avvenuto qualcosa di strano però.
D: sì, credo che molta gente si sia stancata della musica rock, c’è una stanchezza generale, quindi cosa rimane? C’è un enorme territorio inesplorato nella musica contemporanea, tornando indietro agli strumenti e alla composizione, oltre che al suono per quanto riguarda l’elettronica. Ci sono molte cose diverse che entrano in quel mondo, le influenze sono davvero varie e non penso che noi suoniamo come Peter Broderick o Nils Frahm. Probabilmente abbiamo relazioni più strette con musicisti come Tim Hecker, ma alla fine penso che ognuno abbia il suo sentiero da seguire e che lavori in modo diverso. Il fatto che ci sia un piano e degli archi è veramente l’unica connessione.
A: credo che anche emozionalmente siamo totalmente diversi gli uni dagli altri.

Avete due carriere molto ben sviluppate da soli e con le vostre band. Ciò che avete fatto prima influenza in qualche modo quello che fate come A Winged Victory For The Sullen?
A: assolutamente sì. Ogni cosa che abbiamo fatto nella vita influenza ciò che siamo e facciamo ora.
D: ciò che forse è diverso per questo progetto è che entrambi abbiamo fatto musica per vent’anni ormai e credo che siamo musicisti “formati”, nel senso che il periodo delle prime scoperte ormai è passato ed è arrivato quello delle ulteriori scoperte, nel senso che cerchiamo di capire dove possiamo andare a partire da quello che siamo e sappiamo fare. Abbiamo creato tante cose, abbiamo capito qual è la nostra voce, siamo sicuri in ciò che facciamo, siamo entrati in questa nostra avventura con tutto questo alle spalle, ed è questo che rende totalmente nuova questa esperienza rispetto a tutte le altre che abbiamo fatto. Quando abbiamo iniziato a lavorare assieme abbiamo fatto un compromesso per capire dove arrivare e quali limiti non superare. L’unica cosa che ho imparato facendo musica è l’importanza di sapere dove e quando fermarsi.

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E non accadeva con le vostre band?
D: è una cosa che si impara pian piano. Ogni disco può essere migliore di come alla fine è, ma l’importante è capire che è parte di un percorso e che come tale va visto e vissuto. È importante anche capire l’importanza della semplicità, spesso ciò che è più semplice è anche migliore, non bisogna passare la vita a cercare di registrare il pezzo perfetto, bisogna catturare un momento. Questo vale per il suono ma anche per il modo di lavorare. Noi due abbiamo capito questa cosa, sappiamo quando un pezzo può andare bene così com’è, senza andare a cercare la perfezione e le complicazioni. E questo migliora ogni volta di più.

L’Italia è stata molto importante per voi. Dustin ha vissuto qui per un periodo, vi siete incontrati a Bologna e avete anche lavorato con Francesco Donadello vicino a Ferrara per il primo disco. Mi chiedevo se siete anche stati influenzati da musicisti italiani…
A: Morricone e Nino Rota soprattutto, erano eccezionali! Più che il singolo musicista però apprezziamo la cultura italiana e la sua storia. Ora l’Italia sta passando uno strano periodo, però dovete rendervi conto che in molti settori siete tra i migliori, non solo per la cultura ma anche in ambiti più materiali, come la moda.
D: io ci ho avuto a che fare molto di più, ho sposato una donna italiana e ho vissuto in un piccolo paese, in profonda campagna. Mi sento connesso all’Italia come a una famiglia, è una connessione profonda quella che sento. La sua cultura ha avuto una grande influenza su come si è sviluppata la mia musica, fin da quando mi sono trasferito qui e ho registrato un disco con Sara Lov a nome Devics e quello è stato l’inizio del mio periodo italiano. In quel periodo ho iniziato a lavorare con il piano, ho registrato due dischi solisti al piano, entrambi scritti e registrati in Italia. Quindi è stato un periodo importante per lo sviluppo della mia voce, del mio modo di fare musica.

State per iniziare un tour, che a novembre passerà anche dall’Italia, a Bologna. Cosa dobbiamo aspettarci da questi concerti?
A: suoneremo cose dal primo album così come da Atomos e anche qualche pezzo che non appare sui dischi. Avremo anche degli archi con noi sul palco, in numero variabile. Per esempio a Bologna sarà un trio.

Progetti per il futuro, come A Winged Victory For The Sullen e da soli?
D: penso che Adam lavorerà a un nuovo disco degli Stars Of The Lid
A: sì, penso che prima o poi uscirà un disco della mia band. Non ci ho pensato molto in realtà, abbiamo finito questo e solo ora pensiamo al futuro
D: io invece ho un paio di colonne sonore che ho appena finito, per un film indiano e per una serie TV, Transparent, poi credo che farò un altro disco solista.

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Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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