Il Primavera Sound è ormai diventato un modello a cui ispirarsi se si vogliono creare festival in grado di coniugare qualità e quantità, una specie di Sacro Graal della musica indipendente che molti cercano di imitare e che tutti vorrebbero avere nella propria città. Invece il festival di Barcellona resta più o meno un unicum nel panorama festivaliero europeo, con ormai una quindicina di edizioni alle spalle, una migliore dell’altra e con una continua tensione al miglioramento, sia dal punto di vista di chi suona sul palco, sia di chi il festival lo vive come spettatore. Abbiamo avuto la possibilità di parlare con chi il festival l’ha fondato e ancora lo gestisce, Alberto Gujiarro Rey, incontrandolo in occasione del suo passaggio da Milano assieme ai Paus, ottima band math-rock portoghese che esce proprio per l’etichetta del Primavera Sound, El Segell e sulla quale abbiamo in serbo un’intervista in esclusiva. Abbiamo quindi cercato di carpire qualche segreto ad Alberto, con la speranza magari di vedere un giorno un festival così bello e ben organizzato anche dalle nostre parti. Ecco cosa ci ha detto.
Qual è stata la scintilla che ha fatto iniziare la storia del Primavera Sound?
Prima di fare il festival avevamo un club, la Sala Apolo, dove avevamo iniziato come promoter per concerti e serate con dj. Lì iniziammo nel 1991, e fummo noi a introdurre a Barcellona l’elettronica e la club culture. Probabilmente il Primavera Sound è la conseguenza della nostra concezione di club. Tra il 1996 e il 1998 fummo chiamati per organizzare la parte elettronica di festival come quello di Benicassim o il Doctor Music Festival, che si teneva nelle Asturie. Nel 2000 iniziammo a pensare a un nostro festival, alla nostra idea innovativa di festival. Nel 2001 riuscimmo quindi a organizzare la prima edizione del Primavera Sound al Poble Espanyol, che è una specie di villaggio kitsch che però funziona molto bene per un festival, o meglio per la nostra idea di festival.
Come ti spieghi il grande successo del festival, anche perché è arrivato in anni di crisi per la Spagna e per l’Europa?
Siamo cresciuti passo dopo passo durante gli anni. Non è stato da un anno all’altro che siamo esplosi, forse solo nel 2005, quando siamo passati dal Poble Espanyol al Parc del Forum, abbiamo dovuto cambiare la nostra mentalità e le nostre aspettative, pensare più in grande. Da lì abbiamo avuto più palchi e un programma più grande, ma siamo comunque cresciuti un passo alla volta, consolidando il festival. Ci siamo accorti di essere veramente internazionali quando Pitchfork si interessò a noi e iniziò a collaborare con il festival. Ora il festival è sempre più internazionale, il 60% del pubblico viene dall’estero, e questo ci ha aiutato a non sentire la crisi che c’è stata in Spagna.
Come è nata invece la decisione di andare anche in Portogallo con il Nos Primavera Sound?
C’è stato un momento in cui molte città in giro per il mondo si interessarono a un festival come il nostro, perché era un festival indie-pop-rock-elettronico, ma all’interno di una città, che è una cosa molto positiva per chi lo ospita, perché la gente spende molti soldi. Quindi molte città in Europa e anche in America Latina hanno dimostrato interesse a ospitare un festival come il nostro. Abbiamo accettato di farlo a Porto perché la nostra idea era di fare un festival che non fosse un gemello del Primavera, come fanno ad esempio con il Coachella, ma volevamo due festival completamente differenti. A Barcellona ci sono 250 gruppi che suonano, è un evento veramente grande, mentre a Porto ce ne sono circa 80, è una specie di “boutique festival” in un posto molto bello. Quindi sono due festival diversi e questa cosa funziona molto bene per noi.
Avete mai pensato all’Italia?
Come ti ho detto, molte città e molti promoter in diverse nazioni si sono interessati al nostro modello di festival e posso dire che l’Italia era una di quelle. Ci proponevano di fare qualcosa a Roma, ma alla fine abbiamo deciso di non fare niente di nuovo, perché per ora il nostro interesse principale è fare in modo sempre migliore e rendere sempre più grande il festival di Barcellona. Per quanto ci riguarda è meglio iniziare nuove idee, che portare quelle vecchie altrove.
Ora avete anche un’etichetta, El Segell Del Primavera. Come avete deciso di darle vita e come scegliete i gruppi da produrre?
Sono passati circa due anni da quando abbiamo iniziato con El Segell. La nostra idea era di promuovere e dare visibilità a nuove band di Barcellona e della zona. È molto dura per noi, penso che tutti sappiano che ora è veramente difficile far vivere un’etichetta discografica, abbiamo diversificato un po’ la proposta, abbiamo sia artisti “classici” che novità, tutte proposte di valore, crediamo.
Il Primavera Sound è famoso anche per le reunion di vecchie band. Secondo te perché la gente è così felice di vedere queste reunion, di gruppi che magari ai tempi non aveva nemmeno considerato?
Credo che spesso la gente scopra le band anni dopo che queste hanno avuto il loro picco e spesso anche dopo che si sono sciolte. Quando ci sono queste reunion si può avere l’illusione di vivere un altro momento storico, che magari avevi perso perché troppo giovane o per altri motivi. Al Primavera ha senso avere queste band anche perché spesso cerchiamo di avere artisti di culto che hanno influenzato le band che proponiamo oggi. Per esempio quest’anno abbiamo artisti con carriere lunghissime alle spalle, per esempio Patti Smith o Roedelius, che ha 75 anni e credo sia il più vecchio del cartellone.
Hai una “reunion dei sogni” che vorresti vedere?
Non è molto originale come risposta, però dico The Smiths e Talking Heads.
Qual è stato il miglior concerto nella storia del Primavera Sound, secondo te?
È difficile da dire, anche perché non vedo tutti i concerti, anzi ne vedo pochi perché sono molto impegnato a lavorare in quei giorni. Ci sono degli highlight che mi ricordo particolarmente: per esempio Sufjan Stevens nell’Auditori oppure due artisti spagnoli, Silvia Perez Cruz con Raul Fernandez Miro. Poi Neil Young, ovviamente.
Parlando invece di social network, penso che la vostra presenza non sia invadente come quella di altri festival o di varie band. Penso anzi che il vostro successo sarebbe più o meno lo stesso anche senza di loro. Cosa ne pensi?
Abbiamo molto discusso di questo argomento ultimamente all’interno del nostro team. Usiamo i social network per comunicare con la gente, solo in quel modo: mettiamo le informazioni, i video e cose del genere. A volte però penso che non sia il modo migliore per comunicare con la gente, perché sono luoghi dove la gente è molto “calda”, dove agisce e reagisce in modi non sempre adatti. Quindi ci limitiamo a fornire info e a rispondere a domande, se sono domande educate naturalmente.
Ora una domanda un po’ cattiva: come ti spieghi il flop del Jabberwocky Festival, in cui eravate coinvolti, che doveva tenersi la scorsa estate a Londra ma che fu annullato tre giorni prima dell’inizio?
Era un progetto dell’ATP, che è un nostro partner. Ci chiesero di collaborare a questo nuovo festival e noi naturalmente accettammo, mettendo le nostre forze e le nostre esperienze al loro servizio perché il festival riuscisse, ma poi non riuscirono a vendere abbastanza biglietti e quindi decisero di cancellare l’evento invece di farlo con molte poche persone presenti e con costi troppo alti.
Il festival ha 15 anni ormai, ma come te lo immagini tra altri 15 anni?
Con la stessa passione che abbiamo ora. Spero di riuscire a fare un festival sempre un po’ più ricco, con un programma in cui sia sempre qualcosa di più, per esempio sempre più collaborazioni e comparsate non programmate sul palco. Per noi è molto interessante quando accadono cose del genere e cerchiamo di spingere perché queste sorprese avvengano. Poi vorrei vedere ancora più attività in giro per la città, soprattutto nei giorni precedenti, lunedì, martedì e mercoledì, con tanti concerti in posti diversi.
Primavera Sound 2015 | 27-30 maggio – Barcellona – il video della line-up
Primavera Sound 2015 – 27-30 maggio – Barcellona gli artisti in cartellone
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