venerdì, Novembre 22, 2024

Ani DiFranco – Allergic To Water: la recensione

Allergic To Water è il diciottesimo album di studio per Ani DiFranco, ormai una veterana del cantautorato statunitense declinato al femminile e rivolto verso temi sociali, in particolare verso le questioni di genere.
In questo album la nostra sembra però voler uscire un po’ dai confini che le sono stati disegnati intorno da un ventennio di lotte civili declinate in musica e che spesso, pur non intaccandone il talento cristallino, hanno appesantito i suoi dischi limitandone la verve e la fantasia, come ad esempio nel precedente Which Side Are You On?
Sarà il trasferimento a New Orleans, città da sempre foriera di ottima musica figlia di meticciati vari, o la seconda maternità, oppure un’intesa particolare con la nuova band che la accompagna, fatto sta che Allergic To Water porta Ani Di Franco in mondi diversi da quelli battuti finora, più rilassati e meno rabbiosi, ma non per questo meno legati a sentimenti profondi e personali, tant’è che per la prima volta da anni Ani cura la produzione completamente da sola, senza l’aiuto del marito Mike Napolitano né di nessun altro.
Con un occhio al mondo là fuori, che resta comunque pieno di problemi, e uno alla tranquillità interiore che sembra aver raggiunto, Ani lascia fluire la sua voce con naturalezza, senza forzarla come le accadeva in passato, su suoni quasi sempre di impronta folk acustica, con la sua chitarra naturalmente protagonista e gli altri strumenti a corteggiarla e ad accompagnarla, andando a lambire atmosfere jazzate con batteria spazzolata, echi soul del Sud degli Stati Uniti e il meglio del songwriting anni 60-70.
Questo nuovo corso raggiunge l’acme in pezzi come Happy All The Time, che racconta la rinascita dal dolore alla felicità, o Yeah Yr Right, che descrive la bellezza dell’amore e della famiglia, su basi mid-tempo semplici ma avvolgenti, proprio come i sentimenti cantati, creando un’atmosfera rilassata, come se stesse suonando con degli amici sul patio di casa in un caldo pomeriggio della Louisiana.
Il clima del disco rimane questo per tutti i dodici brani, fino alla chiusura affidata a Rainy Parade, quasi una ninna nanna che lancia a tutti noi l’invito you just got to take your lemons/and make your lemonade/have your rainy parade.
Credo proprio che seguiremo il tuo consiglio, Ani.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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