Se c’è qualcosa che si può tranquillamente affermare di questo 2015 ormai al tramonto è che musicalmente parlando non è stato un anno avaro di uscite discografiche declinate al femminile. Nomi come Bjork, Julia Kent, Chelsea Wolfe, Grimes, Julia Holter, Erykah Badu, Angel Deradoorian, FKA twigs, solo per citarne alcuni, sono stati fra i principali protagonisti dell’annata, imponendosi sui media con dischi che hanno saputo far parlare di sé.
A questa folta schiera di donne si aggiunge anche Anna Von Hausswolff, svedese di Gothenburg dal nome altisonante, autrice di questo “The Miraculous”, terza opera che va ad aggiungersi alle due precedenti “Singing From The Grave” del 2010 e “Ceremony” di due anni fa.
Organista e pianista, la Von Hausswolff si pone idealmente in terzetto con la Kent e la Wolfe, e questo a causa di una principale caratteristica: la natura estremamente tragica e profonda della sua musica. Rispetto alle sue colleghe, la songwriter svedese accentua ancora di più gli aspetti ritualistici e messianici: lì dove lo sguardo della Kent, attraverso il suo violoncello, si imprime di melanconia e quello della Wolfe di profetiche apocalissi, il suo è perennemente alla ricerca di una dimensione ultraterrena, irrimediabilmente altra, dai barlumi a tratti accecanti. Ma non bisogna lasciarsi ingannare, fuorviati magari anche dal titolo: ogni miracolo e ogni ricerca di un’altrove sono sempre intrisi da forte tensione.
Anna von Hausswolff – Evocation, il videoclip
In “The Miraculous” questa tensione è palpabile in ogni nota, e prende forma a partire da due aspetti che hanno donato personalità all’album. Il primo si riferisce al titolo: col termine “miracoloso” la Von Hausswolff vuole indicare quella zona intermedia dai contorni sfumati che divide (o unisce) il reale dall’immaginazione, luogo dell’anima che permette alla musicista di attingere continuamente materiale per le sue creazioni; ma questo luogo “miracoloso” non esisterebbe solo nella dimensione mentale, ma a detta della songwriter starebbe in Svezia, frequentato da lei sin da bambina, tanto da aver ritrovato delle forti similitudini nelle scene naturali di “Come And See”, film russo di Elem Klimov sull’occupazione tedesca della Bielorussia nel ’43. L’altro aspetto imprescindibile per “The Miraculous” è l’utilizzo in fase di songwriting de l’Acusticum, ovvero uno dei più grandi organi costruiti in Europa e situato a Piteå, Svezia, ma differente dagli altri organi da chiesa per via delle sue novemila canne con in più un glockenspiel, un vibrafono, varie sezioni percussive e alcune canne immerse nell’acqua per alterarne il suono. L’Acusticum è il vero protagonista sonoro dell’album, al pari e a volte anche più della voce della Von Hausswolff: la simbiosi fra strumento meccanico e strumento umano è molto forte, contributo primo all’aura sacrale delle composizioni.
L’approccio dell’artista svedese con questo strumento risale a diversi anni addietro, ma è stato durante il Frequency 13 Lincoln Digital Culture Festival presso la Lincoln Cathedral in Inghilterra che la Von Hausswolff ha incominciato a ricercare le prime tracce che le hanno permesso di erigere la cattedrale sonora di “The Miraculous”, suonando, e per la maggior parte anche improvvisando “Kallan”, una composizione divisa in due tempi di circa venti minuti ciascuno eseguita esclusivamente su un organo. Da quel momento in poi la Von Hausswolff ha ritrovato nell’organo un ottimo modo per esprimere il suo mondo, culminato nelle nove tracce di “The Miraculous”.
Il viaggio si snoda attraverso la continua alternanza fra stati di tensione e di distensione, aperture e chiusure, ricerca del picco sonoro più alto per poi ricadere nel suo opposto. “Come Wander With Me/Deliverance” (N.d.r. “Come Wander With me è una canzone scritta da Jeff Alexander e interpretata da Bonnie Beecher per un episodio di Twilight Zone) è la traccia più rappresentativa di questo andamento sonoro ed emotivo, cuore pulsante del disco con i suoi dieci minuti dominati dai vocalizzi della Von Hausswolff: partendo da un semplice giro d’organo, il brano cresce piano ma inesorabilmente, esplodendo poi in un classico giro che sarebbe potuto uscire da un qualsiasi gruppo doom metal; da qui in poi la band gioca a rielaborare il brano ma restando sempre su atmosfere più elettriche, ora sfumate, ora più dirette, sino al finale col solo di chitarra. I fidi compari della musicista svolgono egregiamente il loro dovere, in questo pezzo come in tutto il disco, naturalmente senza mai rubare la scena alla musicista ma intervenendo lì dove è solo strettamente necessario e sempre in maniera funzionale.
Anna von Hausswolff – Stranger – live session
La Von Hausswolff non ha bisogno in ogni caso di brani così lunghi per esprimere al meglio la continua dicotomia dei suoi pezzi, e le sue spiccate capacità di songwriting si manifestano anche in canzoni dal minutaggio più contenuto. Ecco allora sfilare davanti a noi “The Hope Only Of Empty Men”, che si trascina con un andamento rassegnato e col finale che sembra strizzare l’occhio al kraut rock; la celebrativa “Pomperipossa” attraversata da echi demoniaci e lontani; la placida “An Oath” dove si intravedono sullo sfondo le figure di Lisa Gerrard e Brendan Perry; o il singolo “Evocation”, breve e trascinante preghiera che chiama senza avere risposta, che cerca senza trovare mai. Come facenti parte di un’unica composizione, questi pezzi permettono alla Von Hausswolff di lasciarci intravedere il suo luogo “miracoloso” senza però mai realmente invitarci ad entrare, consapevole del fatto che quel posto, reale o immaginario che sia, è sacro e inviolabile. E’ non è un caso forse che l’ultimo brano si chiami “Stranger”, ballata folk avvolta da echi e riverberi che chiude elegantemente un disco musicalmente ottimo e che lascia intravedere interessanti spunti futuri per la musica dell’artista svedese. A differenza di una sua “vicina di casa”, la norvegese Susan Sundfør, fra l’altro autrice proprio quest’anno dell’ottimo “Ten Love Songs”, che è riuscita a trovare una strada maggiormente personale, la Von Hausswolff è forse troppo debitrice nei confronti di certe sonorità e modi di scrittura abbastanza abusati nel filone dark pop/drone/folk e simili, che rischiano a volte di soffocare quel tanto che c’è di buono nel suo modo di fare musica.
In ogni caso, “The Miraculous” risulta un’esperienza d’ascolto affascinante ed emotivamente coinvolgente per chi ricerca un certo tipo di suoni e visioni: alla Von Hausswolff non ci vuole certo un miracolo per andare ancora più oltre.