Quinto album per la formazione di Livorno che dopo due anni di stop ritorna a far parlare di sé. C’è da dire fin da subito che gli Appaloosa hanno saputo ritagliarsi un proprio spazio ben definito all’interno della proposta musicale – specialmente italiana – proseguendo con stoica resistenza lungo il percorso a loro congeniale e che li ha resi a pieno titoli fra i migliori interpreti dell’evoluzione musicale nata da un synth. L’esordio discografico muove i passi nel 2003, anno in cui gli Appaloosa escono col disco omonimo, cui seguiranno Non posso stare senza di te, Savana (2005) e The Worst of Saturday Night – musica per energumeni del sabato sera (2012), di cui abbiamo parlato qui su indie-eye. Il 2012 vede anche l’uscita di RMX Vol.1, un’ospitata di nomi noti della produzione italiana che hanno rielaborato in chiave personale alcune tracce dei precedenti album.
Trance 44 nasce sui residui del tour di The Worst of Saturday Night; undici tracce in scaletta per un navigato math rock condensato in 32 minuti. Come il titolo suggerisce e come l’impostazione dell’artwork a cura di Legno sottolinea, l’album punta ad una sospensione delirante e paranoica, alla trance intesa come sottomissione ad un processo di ipnosi e pertanto alienazione corporea. Niccolò Mazzantini, Marco Zaninello, Dyami Young e Diego Ponte, formazione assestatesi dopo alcuni cambi di line up, hanno eseguito la registrazione dell’album presso l’Orfanotrofio, studio della band, con particolare cura all’aspetto analogico e alla presa diretta. Un cortocircuito che in qualche modo stacca la spina e separa dal mondo, l’alienazione in fondo è questo. Se ascoltare Trance 44 doveva tradursi in un isolarsi da tutto il resto e chiudere i rubinetti all’interazione sociale, gli Appaloosa ci sono riusciti in toto.
Si parte con la liquida Amigo Mio, lisergico oscillare in preda a qualsivoglia genere di ebbrezza per passare alla fuga notturna di Barabba (Lu Re), il dub soffice e mattiniero di Jerry fino alla confusione campionata di Where is the Sonny?. Una paranoia che viaggia sul ricorrere ossessivo delle basi in loop, lungo le sessioni ritmiche dominate da basso e batteria che progressivamente costruiscono una gabbia elettrica dentro cui accoccolarsi. Nonostante negli ideali Trance 44 sia concepito come un flusso unitario, non mancano i momenti di stacco dove l’intensità cambia, come nelle esplosioni kraut-rock di Deltoid, singolo che ha anticipato l’uscita dell’album e che vede la collaborazione di Simone Di Maggio, Rico (Uochi Toki) nella parta sonora. Secondo la migliore tradizione che vuole nell’est, nell’India in particolare, la fonte di ispirazione per la meditazione elevata a estasi, Trance 44 avanza più di un segnale che attesti l’adesione a questo immaginario; gli elefanti indiani in copertina, la metamorfosi delle proboscidi in cobra, l’ambientazione da mercato di Nuova Delhi in Santour o il fluire del Gange in Trance 44. Un album a tratti maligno, fuligginoso più diretto rispetto ai lavori precedenti. Esattamente come un pugno ben assestato.