Galleggiando in acqua capita di sentirsi trascinare dalla spinta irresistibile dei fluidi. Si può provare a far loro resistenza, nuotando controcorrente, o vi si può abbandonare, perdendosi, sprofondando. Lo stesso accade con la musica dei Ritornell, band austriaca insediata a Vienna, il cui suono, a cavallo fra soft-electro e acustico, penetra in modo pungente lasciando disorientati e storditi
Alle tracce prettamente strumentali di Aquarium Eyes, in cui si alternano sfrigolii pungenti come punte di spilli e sonorità ampie e fluenti (come in Ono, brano acre dove la legnosità dei suoni elettronici è ammorbidita da tastiere e bassi appena percettibili), se ne affiancano altre accompagnate dalla voce femminile di Mimu Merz che canta, sospira e, talvolta, declama (si ascolti la sgangheratissima e sconclusionata Cherry Blossom) attraverso le fragili strutture ritmiche: una voce tonda e plastica, a tratti quasi pop, che sembra muoversi in modo indipendente rispetto all’accompagnamento, apparendo spesso dissonante ed estranea e provocando una sensazione di allibito straniamento.
Gli arrangiamenti dei brani, caratterizzati da una forte impronta elettronica, vedono suoni minimali e basic rincorrersi e avvilupparsi in un’intricata trama metallica, creando textures complesse e inaspettate: il solido reticolo di battiti, ritmi e rumori appare destrutturato, entropicamente sconvolto, destabilizzato. Ne consegue un lavoro ipnotico e surreale, nel quale l’urticante scricchiolio delle suggestioni elettriche è miscelato sparpagliatamente in un impasto spigoloso e tagliente. Talvolta risulta difficile persino parlare di “melodia”: più che di una composizione melodica vera e propria, quello di alcune tracce può essere definito come un accostamento di suoni apparentemente incompatibili l’uno con l’altro che riescono invece, inaspettatamente, a fondersi, liquefacendosi e smussando i propri angoli; spesso il collante fra queste variabili è la voce fluida e gommosa di Mimu, che cuce i vari rattoppi sonori come un filo dorato.
Gli strumenti acustici presenti, come contrabbasso, vibrafono o pianoforte, sono sottoposti ad una sottile manipolazione elettronica e appaiono come snaturalizzati, spogliati della loro veste abituale: brancolano e si divincolano in un caos di beat elettronici e rumori indefiniti, affiorando da un pantano sonoro disseminato di fuzz, sibili, stridori e glitch. La composizione musicale appare bipolarmente multi-livello: la parte strumentale si dipana su una base vibrante e magnetica, ma ciascun piano mantiene una natura e uno spazio a sé stanti, pur aggrovigliandosi come filamenti di un DNA contaminato. In questo risulta evidente l’influenza di Christian Fennesz, che dispiega suoni onirici e a tratti trance su tappeti di fischi elettrici e rumore bianco. Ma fra le suggestioni dei Ritornell è possibile individuare anche la psicotica sperimentazione di Alva Noto, l’elettricità pop e glamour dei Broadcast o la zoppicante e allucinata rumorosità dei Seefeel.
A partire da tracce trasognate e mistiche, come la prima The Morning Factory, dove un basso vellutato e accattivante fa da scorta ad una combriccola di delicati suoni cristallini; passando per brani inquietanti come Tremble, in cui voci strozzate e mostruose si innalzano da una melma di rumori sconnessi, come fantasmi spaventosi, mentre beat elettronici e percussioni acustiche discutono sommessamente fra loro; fino a Musicbox, una paranoica moltitudine di carillon che suonano all’unisono. I Ritornell spiazzano per la loro ecletticità, per l’assorta scompostezza, per il tocco allo stesso tempo ruvido ma delicato, disordinato ma limpido.