Il defacement nichilista di Artista Sconosciuto è affascinante. Copertina nera, nessuna informazione sul compositore nè su chi suona cosa e ovviamente un moniker che parla da solo. L’unica cosa su cui è possibile concentrarsi sono i titoli delle nove canzoni e ovviamente il loro contenuto, legato inizialmente a quell’incedere ritualistico vicino a certo folk britannico di derivazione pagana (il Principe Azzurro e Le Campane ci hanno fatto pensare alla musica scritta da Paul Giovanni per The Wicker Man di Hardy).
Allo stupore orrorifico per la natura il nostro sostituisce un racconto intimo e surreale e sopratutto mescola con grande libertà e capacità, strumenti acustici e campionamenti elettronici che suonano come strumenti.
Dalla terza traccia in poi (Solo cose legali) diventa chiaro il gioco che Artista Sconosciuto imbastisce con il racconto fiabesco, utilizzato come strumento parodico per interpretare la realtà attraverso lo sfruttamento di linguaggi diversi tra cui il punk, la ballata cantautorale, la narcolessia di certo sadcore (Murata Viva), il tutto con lo stesso rigore essenziale e un gusto spiccato per la sottrazione.
Viene in mente il movimento salmodiante di Ferretti ma anche il De Andrè più scarno e scabroso, senza che questi riferimenti assorbano le composizioni nell’imitazione pedissequa di modelli troppo ingombranti. Al contrario è proprio il ricorso ad un minimalismo esasperato che ci regala nove episodi sofferti e originali anche per il modo in cui vengono raccontati i sentimenti, in quell’interstizio indicibile che risiede tra il quotidiano e la follia.
Artista Sconosciuto, Le campane – audio ufficiale