Quarant’anni e non sentirli.
In un periodo in cui gli anni ’60 e ’70 sono tornati prepotentemente alla ribalta in vari ambiti (in particolare nel cinema e nella musica), riesumati da giovani artisti contemporanei che ne subiscono la fascinazione a volte in maniera forzata, la storica etichetta Cramps ritorna sulle scene quasi in sordina, silenziosamente ma pronta a far parlare come al solito la sua musica.
Recentemente acquisita dalla Sony, che si occupa oggi di distribuire il catalogo, l’etichetta milanese del mai troppo compianto Gianni Sassi ripubblica in vari formati (dal classico vinile, ai box, sino al digitale) opere ormai storiche del rock europeo meno allineato e volto alla sperimentazione. Alcune delle ultime riedizioni hanno incluso dischi come “Arbeit Macht Frei”, “Event ‘76” e “Concerto Teatro Uomo” degli Area; “Le Milleluna” e “Recitarcantando” di Stratos; “A Fuoco” e “Non ce n’è per nessuno” di Claudio Rocchi e infine “Tilt”, “Giro di valzer per domani” e “Quinto Stato” degli Arti&Mestieri. La Cramps celebra così la sua storia, a conti fatti non solo sua ma ormai patrimonio musicale italiano e oltre, esempio vivo, nonostante i decenni alle spalle, di come si possa fare musica in maniera indipendente e originale, in un momento storico come quello presente molto propizio per la ricezione di questo peculiare modo di approccio alla musica.
Insieme alla Cramps, anche uno dei suoi gruppi storici festeggia i quarant’anni di attività, gli Arti&Mestieri, autori nel 1975 di “Giro di valzer per domani”, secondo album che, insieme a “Tilt – Immagini per un orecchio” di un anno prima, costituisce una delle migliori espressioni del filone progressive rock italiano. Dopo un tour condotto per tutto l’arco del 2015, costituito da concerti di quattro ore per celebrare i suddetti dischi in Giappone, Furio Chirico, batterista e fondatore del gruppo, unica presenza costante nella band, ha richiamato a sé il vecchio compagno di avventure, il chitarrista Gigi Venegoni, per scrivere nuovo materiale. Dalla sinergia della vecchia guardia, accompagnata dagli ormai consolidati Iano Nicolò (voce e testi), Roberto Puggioni (basso) e Marco Roagna (chitarre), e l’innesto di nuovi membri, non del tutto estranei alla storia della band, come Lautaro Acosta al violino e al violino elettrico e Piero Mortara alle tastiere, nasce “Universi Parallelli”, concept in tredici tracce sulle diverse dimensioni della realtà che l’uomo non percepisce coscientemente ma che ugualmente lo influenzano a tutti i livelli.
Il tema del disco, pur essendo molto affascinante, è perfettamente in linea con gli argomenti classici del prog, ricordandoci quanto gli Arti&Mestieri siano affini a gruppi rimasti più in ombra rispetto ai maggiormente blasonati PFM e Banco del Mutuo Soccorso, come Osanna, Delirium, Pholas Dactylus e Il Balletto di Bronzo: band che hanno fatto ugualmente la storia del genere occupando un vero e proprio status di culto. Oltre che concettualmente, gli Arti&Mestieri si avvicinano alle band citate anche musicalmente, grazie al tipico Canterbury sound che costituisce da sempre il cuore delle loro canzoni; dall’altro lato però, si allontanano dalle influenze inglesi per abbracciare quelle ugualmente pregnanti della fusion e del jazz di act esteri come Return to Forever e Mahavishnu Orchestra, o italiani come i Napoli Centrale. E’ quindi normale che i pezzi del nuovo album risentano molto di questi due universi comunicanti, a volte paralleli, altre volte invece fusi insieme. L’opener “Alter Ego” rimanda immediatamente a “Tilt” (in particolare al pezzo “Gravità 9.81”), grazie al tema evocativo e coinvolgente, mentre la successiva “Dune” si muove su ritmiche più frenetiche, creando un contrasto molto interessante con il suono elegante e soffuso del sax soprano di Mel Collins (proveniente dai King Crimson, ospite anche sul seguente brano “Pacha Mama”).
“Universi Paralleli” si snoda tutto attraverso le coordinate offerte da questi due pezzi d’apertura, regalando i momenti musicalmente più coinvolgenti nelle quattro canzoni cantate con attitudine quasi teatrale da Iano Nicolò e nel brano di chiusura “Nato” dove è ospite Lino Vairetti, voce degli Osanna, per uno dei pezzi più belli dell’intero disco. Complice una produzione cristallina che esalta tutti gli strumenti, la batteria di Chirico in primis, dal tocco personalissimo, potente e trascinante, che nulla ha da invidiare a batteristi più giovani per fantasia e tecnica, o ad esempio il basso fretless, perfettamente udibile nei momenti più groove così come quelli più virtuosi.
“Universi Paralleli” in alcuni frangenti può mostrare delle assonanze con certi gruppi progressive contemporanei, in particolare i Pain Of Salvation del disco “Be”; queste però sono solo minime e dimostrano, in ogni caso, quanto la scena prog italiana abbia inciso a livello internazionale. Gli Arti&Mestieri hanno sfornato infatti un album che si riallaccia in maniera forte ed evidente al loro passato, in particolare a quello costituito dai primi due dischi: pur non attingendo troppe idee dal presente, sono riusciti a scrivere un lavoro che non suona vecchio e obsoleta, ma al massimo cercando di mantenere le caratteristiche di uno stile ormai consolidato e che da decenni identifica la band.
Sul crinale fra interpretazione personale ed estremo rigore compositivo, così come fra immediatezza delle melodie e complessità delle strutture, gli universi paralleli degli Arti&Mestieri si ricongiungono alla fine in un unico mondo, raffinato ed elegante, e che cresce e si espande ad ogni ascolto. Basta lasciargli il tempo giusto dell’ascolto.