Arve Henriksen con “The Nature of connections” riesce in un’impresa inseguita per anni, quella di realizzare un album per archi e batteria, oltre ovviamente alla presenza della sua tromba, una sintesi apparentemente riduzionista del lungo percorso di connessioni, appunto, che il musicista norvegese ha tracciato in una ricca produzione discografica, non solo con i suoi Supersilent, ma anche attraverso le numerose collaborazioni che attraversano le sue uscite soliste, tra cui figurano David Sylvian, il pianista Christian Wallumrod, Helge Sten, Audun Kleive, Bill Frisell, John Hassel, Gavin Bryars, Imogen Heap, Dhafer Youssef e il Trio Medieval.
In questo suo nuovo lavoro si fa affiancare dai violinisti Nils Økland e Gjermund Larsen, dal violoncello di Svante Henryson e dal contrabbasso di Mats Eilertsen ai quali si aggiunge la batteria di Audun Kleive. Con un sound modulato sulle basse frequenze, Henriksen costruisce un intarsio di rara potenza modale, vicino per certi versi all’esperienza con il Trio Medieval, qui orientato ad una resa maggiormente espressionista e con alcune incursioni nelle progressioni della musica classica mediorientale.
Mentre il lavoro delle percussioni rimane sullo sfondo a disegnare pattern ritmici discreti e leggeri, la tromba di Henriksen con l’inconfondibile tecnica che ne avvicina il timbro a quello di una voce umana, concretizza insieme ai violini una traccia melodica di grande suggestione allargando lo spettro dalla musica Jazz a territori contaminati con il metissage tra musica etnica e reminiscenze classiche, che hanno il pregio di sospendere la musica di “the nature of connections” in un territorio apolide e convergente.
E se una traccia come Seclusive Song ricorda il Jazz melodico del primo Sylvian solista, Hambopolskavalsen rimane a metà tra folk nordico e minimalismo, trovando una connessione stimolante tra cultura popolare e musica colta.
Il segreto di queste sovrapposizioni allora è proprio nell’interazione tra tutti questi elementi e nel passaggio dall’impostazione geometrica della musica da camera a quella più improvvisativa, in una forma mai sterilmente eclettica ma semplicemente naturale nel documentare le trasformazioni.
Alla base del progetto c’è una precisa concezione compositiva che coinvolge tutti i performer ospitati, la conferma di questo è negli stessi crediti dell’album, che segnalano Henriksen come compositore effettivo di un solo brano, mentre tutto l’insieme del lavoro è frutto di una combinazione connettiva tra i partecipanti; esempio di questo processo stratificato è Arco Akropolis, scritta dall’ensamble e probabilmente il brano che si affida totalmente ad una forma free proveniente da tutte le sorgenti culturali a cui Henriksen si è voluto ispirare.
Viene in mente il flusso acquatico di formazioni come Boxhead Ensamble o gli episodi più astratti della discografia dei Rachel’s, perchè al di là delle differenze timbriche e culturali che informano i rispettivi lavori, c’è in comune una mappatura cartografica di luoghi, spazi e identità sincretiche la cui forza risiede appunto nella profonda filosofia connettiva ricercata da questi straordinari musicisti.