Nel respiro mantrico di Babylon si intravedono molte influenze: Zu, Bologna Violenta, restando in Italia, una sfrenata passione per i Tool, guardando al mondo. Stretti da molteplici influenze, azzardi e simbologie, i Nut presentano Babylon a tre anni di distanza dall’esordio di Gravità Inverse. Dal 2012 la formazione pisana ha lavorato all’uscita dell’album, due anni di scrittura, rincorsa all’ispirazione e rielaborazione. Fra lunghe falcate a suon di chitarra e convulse contorsioni delle percussioni, Babylon snocciola le sette tracce dell’album. Dalla cavernosa apertura di Whisper, si passa al mormorio esoterico di The Return, un gorgoglio labiale che mischia l’occulto ad una linea psichedelica e tribale di fondo. Anche se la produzione non sempre sempre raggiunge appieno il controllo degli strumenti, l’impasto di Babylon è coerente; si intravedono i sentieri che lo hanno mosso e che lo connotano. C’è il grunge pesante di Daimon alla Alice In Chains, l’azzardo vocale (non fra i migliori eseguiti) di Hybris fino all’eco catatonica di Addiction.
Babylon è un album elaborato che rivendica la propria appartenenza e familiarità ad un genere musicale circoscritto e definito e dove la volontà di guadagnarsi la targa di “post” rock, è più che forte. Le sette tracce di Babylon rivelano molto dei gusti dei Nut, ma rivelano anche un percorso di scrittura frammentario e non sempre fluido. La percezione che si ha è quella di un lavoro svolto a più riprese, rimaneggiato in alcuni punti, arenato in altri. Un lavoro che fa intravedere gli scorci di due anni di lavoro. C’è da dire che la vera resa dei pezzi non si può cercare sul supporto rigido quanto nell’interpretazione live, vero megafono e luogo appropriato per esprimere l’adeguato potenziale dei Nut.