Non c’è la stessa ossessione per il tempo e per gli orologi di The Resurrection of Broncho Billy , il corto montato da John Carpenter durante gli anni trascorsi all’USC, ma il nuovo videoclip girato per i Calibro 35 dal collettivo John Snellinberg è animato dallo stesso spirito combinatorio.
Bandits on Mars, scritto, diretto e montato da Patrizio Gioffredi e realizzato insieme ad un numeroso e collaudato gruppo di lavoro, è un visionario omaggio al cinema Italiano di genere degli anni sessanta, quando per esempio il peplum e la fantascienza si incontravano nello stesso spazio narrativo, dando vita a titoli come Il Gigante di Metropolis di Umberto Scarpelli.
Lo sci-fi-western degli Snellinberg attinge ad un vasto immaginario filmografico, che da Bava e Margheriti sale sulle astronavi di Lugi Cozzi, scende tra la polvere dei film di Corbucci e Leone e cita le eroine sexy di Roger Vadim.
A guardarlo con attenzione, oltre al divertimento e all’efficacia, c’è molto di più dell’omaggio ed è una modalità collettiva di fare cinema tout court, che anche nella forma breve indica una via stimolante nell’era della velocissima evoluzione digitale: il connubio tra tecnica e istinto, artigianato e invenzione, ovvero tutto quello che manca al contemporaneo cinema italiano.
Ne abbiamo parlato direttamente con gli Snellinberg, che oltre a raccontarci una serie di gustosissime idee sul making of di Bandits on Mars, ci hanno fornito alcune foto scattate durante la lavorazione del videoclip, che più di molte parole ci raccontano un metodo di lavoro autonomo, creativo e di altissima professionalità.
Calibro 35 – Bandits on Mars – Dir: John Snellinberg
Dove è stato girato il video? Le location esterne sono molto suggestive, potete raccontarci qualcosa e magari dirci che tipo di difficoltà avete incontrato?
Il video è stato girato in varie location in giro per la Toscana. Per le scene western abbiamo girato tra i butteri maremmani nella tenuta di Alberese, un posto magnifico. Quando hai a disposizione una location del genere il grosso è fatto, si tratta solo di aspettare che il sole collabori o che le vacche sullo sfondo si spostino per non rovinare la continuity.
Marte è un mix di varie location e fondali ricostruiti grazie al green screen. Siamo molto soddisfatti del risultato finale.
E quelle interne dove si svolge il duello? È un green screen o cos’altro?
Il duello è stato girato all’interno del Museo Pecci di Prato. Il vecchio corridoio che collega gli uffici è praticamente l’interno di un’astronave. Abbiamo applicato un green screen ad un lato del corridoio per moltiplicare la prospettiva e disorientare gli spettatori che conoscono il posto.
Vi siete ispirati solamente al cinema di genere italiano dei sessanta e dei settanta (Bava, Margheriti, il Petri de “La decima vittima”, il Cozzi di Starcrash) o c’è qualcosa in più, per esempio John Carpenter?
Tra le ispirazioni ci sono sicuramente gli italiani che citi e che amiamo molto, come ci sono Corbucci e Leone per la parte western. Nello sguardo finale di Roslyn più che a Terminator pensavamo a Fulci. La musica dei Calibro ha la capacità di dettare non solo il ritmo delle sequenze ma anche lo stesso immaginario.
Carpenter rappresenta per noi un’influenza e un modello costante. Per l’ironia, per lo stile classicissimo, per il rapporto con il genere. Prima o poi speriamo di riuscire a realizzare quell’horror marxista-carpenteriano che abbiamo nel cassetto.
Mi sembra che la clip sintetizzi al meglio lo spirito di quel cinema di genere italiano a cui vi riferite con i modi attraverso i quali il videoclip contemporaneo si sta evolvendo. Nel primo caso un’arte peculiarmente combinatoria (penso alle commistioni tra generi diversi nei film di fantascienza di Margheriti), nel secondo caso una libertà mai vista al tempo delle televisioni tematiche, nella combinazione di formati e linguaggi diversi. Che ne pensate, e soprattutto quanto istinto e quanto cervello c’è in quello che fate?
Sulla combinazione tra i generi ed i linguaggi, è tutto molto istintivo. Non studiamo mai a tavolino quali ingredienti diversi combinare, è tutto frutto dell’idea del momento, del divertimento e del gusto per il cinema. Ci sentiamo molto liberi di includere tutti gli elementi della cultura cinematografica e pop che ci appartengono ormai ad un livello quasi inconscio. In questo senso, quello che dici sulla libertà garantita dai videoclip è vero, ma da questo punto di vista noi ci avviciniamo al cinema e ai video con la stessa libertà creativa.
Gli effetti speciali. La resa mi sembra fenomenale, sono belli da vedere e allo stesso tempo non perdono quel senso artigianale che li fa apparire umanissimi oltre che divertenti. Come vi siete avvicinati a questo aspetto? Senza per forza doverci svelare segreti che magari non volete svelare, ci incuriosiva la relazione tra artigianato e digitale. Quando Bava era davvero un pioniere degli effetti visivi, tutto era legato alla dimensione “chimica” e “ottica”. Nel vostro caso invece?
Il merito degli effetti speciali è davvero tutto di Valentino Mario Conte che ha co-diretto le scene coi green screen e fornito idee e spunti già in fase di ideazione. L’obiettivo preciso che ci siamo posti è stato quello di bilanciare gli interventi digitali con elementi di artigianato puro: nessuna inquadratura del videoclip doveva essere interamente digitale. L’astronave dei cattivi è stata rielaborata partendo da un lampione di Piazza Mercatale a Prato, mentre quella di Raymond è stata interamente progettata e costruita dalla nostra scenografa, Daria Pastina, e da Luca Taiti (che ha fatto il fabbro per venti anni), a partire da un Sulky, una vecchia mini-car a tre ruote. In questo rapporto tra elemento fisico e intervento digitale e nel gusto per l’effetto speciale “umano” c’è sicuramente l’influenza di Bava e degli altri artigiani del cinema di genere.
Il sodalizio con i Calibro 35 prosegue con ottimi risultati. Collaborano anche loro alla discussione e alla realizzazione dei videoclip che realizzate oppure rimangono due mondi creativi separati?
Con i Calibro 35 c’è un rapporto di stima, collaborazione e amicizia che è davvero gratificante, a tutti i livelli. Nel rispetto delle reciproche competenze siamo abituati a discutere insieme le scelte alla base di ogni lavoro a cui collaboriamo. Una volta definiti gli “umori” e le “suggestioni” fidandoci totalmente dell’intesa raggiunta, lavoriamo (e lavorano) autonomamente. Anche se spesso sul set c’è qualcuno dei Calibro, perchè ci piace coinvolgerli come attori.
I videoclip, ne discutevamo con Ninian Doff (N.d.r. autore tra gli altri del nuovo video dei Chemical Brothers) ma anche con Truman e Cooper occupano oggi una posizione di frontiera. Per voi cosa sono i videoclip, anche rispetto a quello che si vede in Italia, un territorio di libertà?
Per nostra vocazione naturale siamo sempre portati a raccontare storie. Raccontare storie interessanti, di senso compiuto e facilmente seguibili, con dei personaggi credibili e ben caratterizzati, senza usare i dialoghi, con ritmi di montaggio da videoclip e stando sotto i 4 minuti è difficile, ma è una sfida che ci diverte parecchio. La brevità però è anche il vantaggio-chiave: per video di questa durata possiamo avventurarci in generi (come appunto il b-movie fantascientifico) a cui è impensabile avvicinarsi con un lungometraggio per ovvi motivi di budget.
Una curiosità. Il personaggio di Roslyn interpretato da Francesca Nerozzi sembra il secondo riferimento a Westworld di Chricton, dopo il Villain interpretato da Fabio Rondanini. Allo stesso tempo, il volumetto di fantascienza sul modello Urania intitolato Roslyn salva la vita a Luke Tahiti. Tutta la cultura che arriva e parte da li, salva la vita? Come mai rappresenta un serbatoio creativo così importante per il collettivo John Snellinberg?
In realtà mentre per il Captain Gun di Rondanini pensavamo a Westworld sia Roslyn che Raymond sono nomi che vengono da The Misftis di Huston che avevamo rivisto da poco.
Quanto al volumetto stile Urania intitolato “Roslyn” che salva la vita a Raymond ci siamo immaginati una “background story” che speriamo di poter sviluppare: il cowboy ha costruito la moglie-robot e le ha dato il nome (e le sembianze?) della protagonista del libro, che da allora porta sempre con sè. La citazione iniziale, da L’uomo della sabbia di Hoffmann, conferma l’ipotesi che Raymond stesso abbia costruito Roslyn.
Siamo convinti che la cultura possa salvare la vita, ma in questo caso la metafora non è cercata. Eravamo alla ricerca di un oggetto che sostituisse l’espediente della lamiera in Per un pugno di dollari e ci è sembrato che il volumetto fosse evocativo e coerente con la storia e con l’immaginario musicale proposto dai Calibro.
D’altra parte quando si parla di fantascienza è impossibile prescindere da Urania. A meno che non si intraprenda la via della fantascienza realistico-umanistica degli ultimissimi anni che non ci interessa.
Il cast. Come l’avete scelto?
Rondanini aveva già dato una bella prova in Butcher’s Bride. Abbiamo voluto ripetere lo scontro Rondanini-Taiti anche nel nuovo video. Nicolò Belliti, che fa Xitron, era coprotagonista di Sogni di Gloria. E’ un attore versatile e bravissimo. Alice Massei e Francesca Nerozzi sono due “new entry” per Snellinberg, anche se le conosciamo da tempo. Stavamo aspettando il personaggio giusto per loro per coinvolgerle. E hanno reso l’idea alla perfezione.
Luca Taiti ormai è per voi un punto di riferimento imprescindibile, immagino anche da un punto di vista creativo ed espressivo. Che cos’ha Luke Tahiti che non hanno i volti e i corpi del cinema Italiano coevo?
Luca ha una notevole presenza scenica e una fisicità istintiva che ci è di grande aiuto quando iniziamo a concepire qualcosa di nuovo. Lo conosciamo bene e lavoriamo con lui da tempo, per cui capita spesso di scrivere personaggi pensando a lui come interprete fin dall’inizio. Questo ci dà la libertà di tenerci anche (molto) sopra le righe in fase di scrittura, sapendo che poi quando andremo a girare Luca darà sicuramente quella particolare coloritura al personaggio: sa istintivamente dosare alla perfezione il drammatico e il comico. Forse è questo che ha in più rispetto ad altri. Senza contare che a quanto ci risulta non ci sono altri attori italiani che trasformino sulky in astronavi a tempi di record.
In termini produttivi, potete raccontarci questa produzione in particolare (dai costumi ai VFX) quindi le persone coinvolte ma anche le dimensioni, se sono diverse dai precedenti lavori, e cosa dal vostro punto di vista ancora vi manca?
Oltre a Valentino Mario Conte, che abbiamo già citato, e che collabora con noi dai tempi di The Day Before The Day After (2012) come VFX artist, colorist e per i titoli, sono diventati elementi fondamentali del nostro gruppo di lavoro la truccatrice Diletta Alterini (anche lei coinvolta nel 2012), la scenografa Daria Pastina che collabora con noi dal secondo episodio di Sogni di Gloria (2013) e la costumista Aurora Damanti che aveva già fatto Butcher’s Bride nel 2014. Con loro come con i Calibro c’è una sintonia perfetta a livello umano e artistico. Per i costumi e per il trucco avevamo in mente delle idee di base (Jeanette doveva essere una “Barbarella in versione dark-fetish”, per Roslyn pensavamo al west elegiaco anni ‘70 americano tipo I giorni del cielo, Rondanini era il nostro Yul Brinner etc etc) che poi Aurora e Diletta hanno rielaborato autonomamente con un bel po’ di ingegno. Dell’astronave abbiamo già parlato. Alle armi hanno collaborato Daria e Luca prendendo come riferimento il design dei fucili di Terrore nello Spazio e le pistole della quadrilogia Gamma Uno di Margheriti, combinando phon, shaker da cucina anni ‘60 e oggettistica varia. Per la prima volta abbiamo utilizzato sistematicamente gli storyboard, grazie alla “Snellinberg” Caterina Lilli che è una grafica e disegnatrice.
Se sono visibili dei passi avanti di produzione in produzione è anche e soprattutto ovviamente per il coinvolgimento di professionisti nei settori precedentemente “scoperti”, nella direzione di una forte stilizzazione, che è uno degli aspetti che più ci interessa del cinema. Cosa manca adesso dal nostro punto di vista? Fondamentalmente i soldi.