venerdì, Novembre 22, 2024

Beyoncé – The Visual Album: video diva tra vita e pop, uno speciale in progress

Sono ormai note  le modalità con cui Beyoncé Knowles ha annunciato il suo quinto album, attivando senza preavviso la forza d’impatto dei presidi social, con una strategia non così diversa dalla disseminazione delle risorse cross-mediali che David Bowie ha messo in campo per promuovere The Next Day.

Quella di Bowie è un’opera di profonda complessità transmediale, scarsamente analizzata da questo punto di vista, rispetto all’onda d’urto di secondo grado che ha generato e che ha spinto la critica musicale di tutto il mondo a ricercare la “purezza” di un song-writing che Bowie ha in realtà abilmente sfrangiato in forma narrativa su diversi piani mediali, a partire da alcuni esempi di arte situazionista sul corpo stesso dei propri artwork “storici”, passando per una vera e propria poetica ipertestuale fatta di schegge crono-narrative digitalizzate per i network sociali, fino ad una portentosa sintesi videografica che al momento ha trovato il suo culmine nella clip di “Love is lost“.

Il video, realizzato e diretto dallo stesso musicista inglese a bassissimo costo, come un ponte tra la portabilità presente/futura dei nuovi dispositivi digitali e la reinvenzione di un passato fatto di ossessioni surrealiste sintetizzate nella sequenza iniziale, è quasi un omaggio a Fernand Léger;  alla propria storia iconografica da The Image di Michael Armstrong fino al video di Ashes to Ashes diretto insieme a David Mallet;  a quella del proprio corpo come “pezzo” di video-arte, quasi come la performance al Saturday Night Live nel ’79 insieme a  Klaus Nomi, sulla scia delle video-installazioni di Nam June Paik.

E se Bowie ha sfruttato questo assottigliarsi del peso dell’industria, sperimentando la libertà e l’indipendenza della rete come un nuovo videomaker digitale, esplicitando una parte di se che è stata sempre presente, ovvero quella di un vero e proprio autore di immagini, anche quando era apparentemente solo “attore” in quelle degli altri, Beyoncé non si è messa certamente al centro di un’operazione “minore” con questo suo album visuale costituito da 17 videoclip che percorrono la tracklist audio originale, più un bonus video (il geniale Grown Woman) e due brevi intermission sperimentali di due minuti circa (Ghost e Yoncé).

L’authorship, nel senso vero e proprio di “maternità” letteraria, è mantenuta ben salda da una coesione e da una centralità fortissima, nettamente superiore ai lavori precedenti dell’artista afroamericana sbilanciati a favore di un eclettismo funzionale alla frammentazione dei singoli.

The Visual album, oltre a recuperare con una certa forza un percorso legato alle radici dell’R’n’B, complica la scrittura moltiplicandola su un piano visionario, dove Beyoncé detiene il controllo di un concept che è autobiografico e divistico, intimo e finzionale, rendendo indistinguibile con grande intelligenza, quel confine tra “documento” e “pop” semplicemente mettendoci nel mezzo la (propria) vita.

Viene in mente il bellissimo film di Casey Affleck, I’m still here, girato “sopra” la vita e la carriera di Joaquin Phoenix durante la sua presunta decisione di lasciare il cinema per diventare un musicista Hip Hop;  fake truffaldino e allo stesso tempo documento verissimo, il film di Affleck cominciava ad auto-realizzarsi negli spazi della comunicazione di massa, mandandola in cortocircuito, con le comparsate di Phoenix al David Letterman, tra truffa e verità.

Il reality di Beyoncé allora, fa tremare e crollare miseramente, giusto per fare un paragone impari, un giochino tutto italiota come quello di Niccolò Contessa (aka “I Cani“), prodotto di una sottocultura digitale difficilmente esportabile fuori dai nostri quattro cantoni proprio perchè votato a questo consueto, tedioso, moralistico, perdente disvelamento dell’acqua sporca post-bagnetto.

Beyoncé lo disintegra con un “gesto”  la cui semplicità va, barthesianamente, di pari passo con l’intensità e ovviamente la magniloquenza divistica, che ovviamente manca a Contessa, la cui mitologia si è ritagliata un senso all’interno di un diffuso sottomondo hipster che amplifica gli aspetti peggiori di una società inerte, dove non si scopa più, non si ama più, ma si vomita rivendicando un provinciale intellettualismo sotto scacco: il passato e il presente, il vinile, pasolini imparato su wikipedia, i social network come esperienza centripeta e passiva, finendo poi per parlare di “allettamenti del significante” come un “attraente sostituto di energie politiche bloccate, un surrogato dell’iconoclastia in una società politicamente quiescente“. (se ne parlava, citando appunto Terry Eagleton, in occasione di Bling Ring di Sofia Coppola, altro intollerabile pamphlettino sul vuoto).

Poco dopo il lancio virale dell’album, Beyoncé condivide quindi con forza positiva sul suo instagram la foto di un vassoio di cupcakes appena sfornati, una commistione tra privato e pubblico che recupera tutta la frammentazione social di questi mesi, tra foto famigliari, backstage, schegge documentali, e strategia promozionale spontanea per rielaborarla nel magma visionario dell’intero progetto, realizzato con alcuni tra i più importanti videasti contemporanei, utilizzando vecchi frammenti registrati su VHS, rimanendo a metà tra found footage e ricostruzione della memoria, e allo stesso tempo percorrendo a ritroso la stessa storia dell’audiovisivo musicale, come era già ben chiaro dal video teaser riassuntivo che ha accompagnato il lancio ufficiale del progetto su Youtube.

È la stessa miss Knowles ad essere un portentoso progetto multimediale quindi, dove la novità non è certo nel concetto di video-album, come già dicevamo, operazione che è ben radicata nella storia dell’audiovisivo preposto alla promozione della musica, da Movin’ With Nancy, lo speciale televisivo per la NBC costruito su Nancy Sinatra e prodotto nel ’67 dalla Royal Crown Cola, fino alla VHS dei DEVO The Men who make the Music, arrivando al video-cd di The The che accompagnava le copie digitali di Infected.

Se allora non è la long-form, intesa come progetto audiovisivo concluso, ad essere una novità interessante, quello che è totalmente nuovo è il territorio espanso di un anti-formato e di un anti-contenitore come la rete “connettiva”, che da tutti i presidi social della cantante afroamericana, produce un pezzo di questa narrazione che mette in circolo “vita” e “pop”. Paradossalmente rimangono in una dimensione archeologica tutte le piattaforme di distribuzione e vendita digitale (iTunes) il cui ruolo chiuso e blindato avrà una durata assolutamente temporanea (80,000 copie digitali vendute nelle prime tre ore) considerato che le clip video, ad una ad una, saranno pubblicate sulle directories di condivisione in un flusso continuo tra racconto e promozione.

The Visual album allora si inserisce perfettamente nel processo interattivo che sta modificando, anche in questi mesi, le possibilità di sviluppo dell’audiovisivo musicale, e lo fa in un modo apparentemente meno terroristico del recente video degli ALB, senza la tentazione del giochino videoludico come Reflektor degli Arcade Fire, o l’illusione di un’esperienza in tempo reale, come quella di Happy , il video di Pharrell. 

The Visual album ci entra, come dicevamo, facendo breccia, positivamente, nel sistema cognitivo della stessa rete sociale,  mettendo in relazione la presenza virtuale di Beyoncé con un prodotto digitale complesso che trasmuta continuamente la vita pubblica e privata dell’artista afroamericana in una “gesture” pop, di cui controlla il flusso per mano di una squadra imponente di creativi.

I video stanno uscendo in questi giorni con una disseminazione parallela ma che non sta rispettando la struttura narrativa del concept; segno di una volontà molto precisa di lavorare sui potenziali singoli, ma allo stesso tempo di liberarsi dal contenitore dell’album ricombinandone i pezzi.

In questi giorni attraverso la rubrica dedicata ai videoclip qui su indie-eye, pubblicheremo una dopo l’altra le recensioni di tutti i 17 video contenuti in “The Visual Album”, questo articolo sarà aggiornato progressivamente con i link diretti ad ogni recensione.

Pretty Hurts, di Melina Matsoukas

Ghost di Pierre Debusschere

Haunted di Jonas Åkerlund

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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