Il suono dei Bitchin Bajas s’è fatto nel tempo ancora più esteso, dilatato, statico e siderale, calandosi totalmente in una dimensione ambientale, si potrebbe dire, passatista tra Tangerine Dream e Cluster, guardando anche ad esperienze più recenti, che a quelle stesse coordinate hanno fatto riferimento, come quelle degli Emeralds.
Corrieri cosmici prossimi venturi, in sintesi; laddove il lavoro si stende su quattro tracce, di cui tre di durata fluviale, e la vena psichedelica ha il sopravvento sulla distesa sonora di strumenti in loops, synth e quant’altro possa contribuire ad un’adeguata sospensione sensoriale. Già da Trascendence si è catapultati in un altrove senza tempo, fatto di brume bucoliche di arpeggi nel vuoto, che l’ingresso della chitarra seventy, che taglia in due letteralmente il brano, trasporta su Letzte Tage-Letzte Nächte dei Popol Vuh; salvo poi chiudersi nella reiterazione dei frippertronics nella coda senza fine. Ancora in Inclusion sono le suggestioni kraut del flauto di Frye ad occupare l’intero spazio, scandito dalle onde elettroniche e dal sample di un arpa, in un susseguirsi di riff ciclici in delay.
Pura ambient tastieristica per l’intermezzo di Sun City, mentre la lunga conclusione di Turiya è affidata ad una sinusoide sintetica su cui poggiano distanti intrecci elettroacustici, in una disorientante liturgia mistico/lisergica di reverse e accordi tenui, che si chiude di netto, così come inizia.
Un lavoro che, nonostante i riferimenti impegnativi, l’inflazionamento di un’estetica sonora retro, battuta e ribattuta ormai da quarant’anni, in ogni dove, da chiunque, riesce ad imporsi alla memoria in virtù di una grazia e di un calore, davvero inconsueti a queste latitudini.
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